“Iran e Iraq finanziano Assad”: parla il contabile del regime
IL REGIME di Damasco continua a perdere pezzi. L’ispettore capo del ministero della Difesa, Mahmoud Suleiman Hamad, ha alzato i tacchi e si è rifugiato al Cairo. «La storia che gruppi armati — ha rivelato — si mescolano ai dimostranti è semplicemente una bugia». Nella sua veste di numero uno dell’organismo di auditing del governo, Hamad è in grado di rivelare che dall’inizio della rivolta il ministero della Difesa ha ricevuto 60 milioni di dollari destinati ai paramilitari Shabbiha, i miliziani che si sono distinti nella repressione della rivolta. I fondi sarebbero stati sottratti ai bilanci dei ministeri dell’Agricoltura e dell’Industria. Il regime, ha precisato, ha ricevuto finanziamenti dall’Iran e dall’Iraq.
Ad Hama il colonnello Afif Mahmoud Suleiman, della divisione logistica dell’aeronautica, è passato ai ribelli con cinquanta suoi uomini. Agli ispettori della Lega araba vorrebbe mostrare i 460 cadaveri che si sono accumulati nei cimiteri della città. Anwar Malek, capo della squadra di osservatori mandata ad Homs, ha dichiarato che la «missione, nata già morta, è in pratica fallita». Il giorno dopo la sua pagina su Facebook è stata oscurata. I seimila detenuti politici del carcere di Adra hanno cominciato uno sciopero della fame. Protestano perché giovedì non hanno potuto incontrare gli ispettori della Lega.
L’ORGANISMO panarabo, però, non ha alcuna intenzione di ritirare gli uomini che controllano l’applicazione del suo piano di pace. Il vicesegretario generale Adnan Issa annuncia «un rafforzamento della missione». Gli osservatori ora sono 153. Nei prossimi giorni li raggiungeranno i 10 inviati della Giordania.
La tv di Stato siriana ha trasmesso in diretta i funerali delle vittime dell’attentato ad al-Midan, un quartiere del centro storico, e ha riproposto con martellante insistenza le immagini che mostrano i cadaveri di cinque poliziotti. Secondo l’agenzia ufficiale Sana, migliaia di persone si sono radunate alla moschea al-Hassam per il rito funebre. Un membro dell’opposizione sostiene che le 26 vittime non sono state uccise da un kamikaze, ma da un’autobomba fatta saltare in aria con un telecomando. Un altro dissidente riparato in Libano aggiunge che «le forze di sicurezza sono state viste nascondere effetti personali che erano sul luogo dello scoppio».
Al porto siriano di Tartus sono in arrivo due navi russe, l’unità antisottomarini «ammiraglio Chabanenko» e la fregata «Yaroslav Mudry». Mosca si limita a sostenere che debbono garantire la «sicurezza della navigazione». La mattanza di oppositori non conosce soste. Secondo i Comitati di coordinamento locale ieri sono state uccise 21 persone. I drusi libanesi hanno esortato i confratelli siriani a restare «estranei al conflitto».