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Berruto e i valori della rivoluzione

STAVOLTA non c’entra la passione del ct del volley per il Che Guevara allenatore che ha romanzato nel suo libro ‘Independiente Sporting’. Però si tratta comunque di valori forti, quelli di cui ieri Mauro Berruto ci ha parlato nel forum che abbiamo organizzato presso la sede del nostro giornale a Bologna, approfittando del suo passaggio per il Regional Day dell’Emilia Romagna (si tratta di giorni in cui il ct visiona i migliori under 16 di ogni regione, ve ne avevo parlato qui http://blog.quotidiano.net/rabotti/2012/01/12/i-due-mesi-di-diogene).

Il resoconto del forum, in realtà una chiacchierata amichevole di quasi due ore nelle quali di pallavolo si è parlato pochissimo, lo trovate oggi nel Quotidiano Sportivo, all’interno dei nostri giornali in edicola. Qui invece http://multimedia.quotidiano.net/?tipo=media&media=22942 potete vedere l’intervista video che abbiamo realizzato con il ct per i nostri portali.

Il titolo del post però si riferisce a un paio di temi che abbiamo toccato durante il forum, sui quali Berruto ha idee chiare e anche semplici, nel significato migliore della parola: avete presente quando qualcuno vi fa notare una cosa che era sotto gli occhi di tutti, ma non ve ne eravate accorti?

La prima riguarda una congiuntura favorevole di commissari tecnici. Certo, alla fine in Italia si giudica soltanto in base ai risultati, e quindi anche se avessimo dei poeti o dei cantautori sulle panchine azzurre, immagino che a molti non interesserebbe granché se non portassero qualche successo sul campo. E’ anche giusto, in fondo è per quello che sono stati ingaggiati. Però è vero che in questo preciso momento storico gli allenatori delle nostre selezioni negli sport di squadra hanno anche una precisa caratura morale e culturale. Senza offendere nessuno dei predecessori, da Prandelli a Pianigiani, da Berruto a Barbolini a Campagna, e altri si uniranno a questo ‘club’, tutti si stanno facendo portavoce di istanze che non sono soltanto sportive. E’ tutta gente che paradossalmente rafforza il ruolo dello sport perché lo sta rimettendo al posto giusto. Cioè lo subordina al rispetto di un codice etico oppure porta la squadra ad allenarsi su un campo sottratto alla camorra, per fare esempi recenti. Spesso si dice: è solo un gioco. In realtà, in un paese malato di tifo, spesso a questo gioco viene dato un valore anche esagerato. Rimettere in fila le priorità aiuta lo sport stesso a diventare quello che deve essere: un atteggiamento nei confronti delle sfide quotidiane, un aiuto a vivere meglio fisicamente e mentalmente la propria condizione, uno strumento e non un fine.

L’altra ovvietà rivoluzionaria riguarda il nostro futuro: i giovani. Ieri Berruto ci ha anticipato l’intenzione di modificare la struttura di tutti i campionati giovanili, con due finalità: sia per adeguare lo scaglionamento delle fasce d’età alla vita scolastica dei ragazzi, agganciando maggiormente le ‘squadre’ di cui fanno parte a quelle delle loro compagnie quotidiane, sia per prevenire l’abbandono della pratica della pallavolo, che storicamente ha il suo picco intorno ai 14 anni. Quindi i campionati passeranno da under 14, under 16 e under 18 ad under 13, under 15, under 17 e under 19. I dati dimostrano che il primo anno, adesso, è il più duro: i tredicenni non sono ancora padroni del gioco, trovano avversari e compagni di un anno più grandi, e secondo le analisi tecnico-statistiche giocando in sei contro sei con la rete all’altezza attuale finiscono per toccare il pallone un massimo di tre-quattro volte per set, in media. Berruto ha anche citato uno studio che gli è stato inviato da un allenatore periferico, in base al quale riparametrando le stature dei ragazzi e le misure del campo e della rete, in pratica è come se giocassero su un campo di dodici metri per dodici con la rete alta tre metri. Quindi l’under 13 futura sarà radicalmente diversa: campo di sei metri per sei, squadre di tre persone, con possibilità per le società di creare più squadre (perché se hai cinque ragazzi e non puoi fare il campionato, li perdi tutti e cinque…) e con un numero di tocchi di palla, quindi di divertimento, che sarebbe triplicato per ogni ragazzo. Adattare i campi in questo modo non costerebbe neanche tanto, qualcosa di simile si fa già per il minivolley.

Certo, aiuterebbe molto tutto lo sport, non solo la pallavolo, se cambiasse la cultura del paese anche su un altro punto fondamentale: gli impianti. Per fare pratica, servono i luoghi giusti, a cominciare dalla scuola. “In Finlandia, dove ho lavorato per anni, non si sognano nemmeno di costruire una scuola senza dare alla palestra la stessa importanza che ha una biblioteca _ ha raccontato Berruto _ in Italia invece siamo molto indietro: mio figlio alle elementari fa minibasket in una palestra scolastica nella quale non ci sono i canestri…”.