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I duetti risollevano il Festival, ma l’entusiasmo proprio no

Serata di duetti a Sanremo. Alcuni improbabili, altri carini. Morandi e valletti/e vari/e come al solito poco incisivi. Meno parolacce di ieri e meno scandali, anche perché gli ospiti sono ridotti al minimo e la povera Ivanka capisce la metà di ciò che viene detto. L’insufficienza per Morandi arriva quando si dimentica di ricordare Whitney Houston e qualcuno dal pubblico lo fa per lui.  D’altro canto era poco conosciuta, giusto dimenticarsi di lei al festival della musica. Voto: 4.5.

Ecco le pagelle.

Chiara Civello e Shaggy (Io che non vivo): Duetto inedito, soprattutto perché lei ha fatto razzia in un negozio di abiti per capodanno mentre lui è arrivato in pigiama. Tanto per ricordare chi è Shaggy gli fanno cantare Boombastic, canzone che lo rese famoso negli anni Novanta. Iniziano il duetto ed è ciò che di peggio ci si possa aspettare. La poverina lancia acuti e note a destra e a manca, ma lui, il simil gangster californiano, non ne becca neanche una. Eppure ne passano tante da quelle parti. Voto: 0.5, se la Civello voleva far beneficenza poteva sostenere un bimbo a distanza piuttosto che portare uno stonato all’Ariston.
Samuele Bersani e Goran Bregovich (Romagna mia): L’atmosfera è da balera gitana. Bella, ma sempre di balera si tratta. Al povero Bersani manca soltanto il sangiovese al posto dell’asta del microfono. Ha recuperato la voce totalmente. Quando non serviva. Voto: 5.
Nina Zilli e Sky dei Morcheeba (Grande grande grande): Troppo facile. Il duetto più classico che ci potesse essere: due belle voci, che non steccano neanche da ubriache e con grandi timbri. Uniche pecche: capelli e vestiti. Già negli anni Ottanta sarebbero sembrate eccessive, ho detto tutto. Voto alla canzone: 6.5. Voto all’abbigliamento e alle cofane: 4.
Matia Bazar e Al Jarreau (Parla più piano): Silvia Mezzanotte prende alla lettera il titolo perché non si capisce davvero niente all’inizio. Lei sussurra come solo Carla Bruni nel suo incredibile unico successo musicale – successo e musicale sono squisitamente ironici, sia chiaro – ha saputo fare. Poi fa capire che non è andata al bar a bere una tisana e tira fuori un acuto. Al Jarreau si veste da Lucio Dalla e inizia a fare gli insopportabili versi in stile jazz del suddetto Dalla. La canzone sarà anche un capolavoro, ma c’è un motivo per cui è sempre stata una colonna sonora e non un brano ballabile. Bravissimi, non mi trasmettono niente, ma tecnicamente bravissimi. Voto: 6.5.
Emma Marrone e Gary Go (Il paradiso): Incredibile al Festival: un duetto giovane. Emma Marrone appare per la prima volta divertita, incredibile anche questo. Il bilinguismo non mette però a suo agio la cantante che probabilmente va in confusione, visto che sbaglia anche il tempo di una strofa. Da sottolineare come il fatto di non sapere l’inglese sia motivo di vanto tanto per la Marrone quanto per la premiata coppia Papaleo-Morandi. Canzone voto: 5.5, ignoranza voto: 0.
Arisa e Josè Feliciano (Che sarà): Diciamo che se avessero voluto dare una svolta moderna alla kermesse forse avrebbero dovuto lasciar riposare Feliciano. Lui parla, Arisa lo guarda dubbiosa perché non capisce. Più Feliciano parla e più si intuisce che in realtà è veneto. Dopo un bel duetto, un po’ urlato ma ascoltabile, proprio lui riesce nell’impresa: far tornare Morandi un cantante. Voto alla canzone 6.5, voto all’impresa di Feliciano: 8.
Sorvolo sul siparietto Morandi-Federica Pellegrini, certo che se però si mettono a ballare sui Black Eyed Peas se le cercano: Voto 4.
Peraltro, gli esperti – sì, quelli del primo post su Sanremo – mi fanno notare che, nonostante si svolga nella città dei fiori, non c’è un petalo sul palco.
Francesco Renga e Sergio Dalma (Il mondo): Nonostante io ignori chi sia Sergio Dalma (qualcuno mi racconti il suo curriculum, per favore) e l’orchidea a forma di ragno sulla spalla di Renga, direi duetto urlato bene. Voto: 6.
Pierdavide Carone, Lucio Dalla e Mads Langer (Anema e core): Vale lo stesso discorso di prima, non so chi sia Mads Langer. Gli esperti mi fanno notare che è il cantante di “You’re not alone”. Unico brano noto cantato da lui come è avvenuto con “Rome wasn’t built in a day” dei Morcheeba. Esibizione carina, a tratti delicata. E’ evidente che questa sera l’eccellenza non si potrà avere, visto che sono tutti brani ampiamente anzianotti. Quindi accontentiamoci di sentire esibizioni appena sufficienti, in qualche caso. Voto: 6.
Irene Fornaciari, Brian May e Keirry (Uno dei tanti): Mi dispiace. Mi dispiace tanto per Brian May, il monumento Brian May. Non gli è toccato in sorte il duetto più prestigioso.  May è impeccabile, ci mancherebbe. La sua chitarra è magica e rende tutto oro. Peccato che sopra ci urli Irene Fornaciari e che accanto alla sua cofana da Branduardi spunti lo sguardo malevolo della suddetta rampolla della famiglia Fornaciari. Però ha fatto progressi rispetto alle precedenti serate, gliene va dato atto. May voto: 100, Irene Fornaciari: voto 5, almeno ha finto di essere rock. Alla fine lei piange, avrà letto qualche post?
Marlene Kuntz e Patty Smith (Impressioni di settembre): La amo. Because the night e Horses sono le sue canzoni che mi piacciono di più, però devo dire che Patty Smith è uguale a Ozzy Osbourne. Sono gemelli separati alla nascita, Patty è diventata un uomo. La canzone è carina, Because the night purtroppo rovinata. La Smith non ha più voce e dovrebbe forse riconoscerlo. Voto alla canzone: 6.
Gigi D’Alessio, Loredana Bertè e Macy Gray (Almeno tu nell’universo): La Gray si presenta fasciata da una tenda a fiori, ma non è di certo il peggio. Il peggio arriva subito dopo, quando D’Alessio stona neomelodicamente l’attacco, la Bertè sente particolarmente la canzone, la Gray dovrebbe sentire la musica visto che non fa una gran bella performance. Diciamo che le note ci sono, sono anche vicine al trio, ma il trio non le coglie. Voto: 4.
Eugenio Finardi e Noa (Torna a Surriento): Finché canta Noa tutto bene, ovviamente. Poi inizia la follia: Finardi si veste da Joey Ramone e fa la voce grossa trasformando la nenia in un rock forzato e fastidioso. Voto: 3.
Dolcenera e Professor Green (Vita spericolata): Dolcenera sa l’inglese, quindi mezzo punto se lo prende solo perché non ci fa vergognare. Un po’ troppo urlata anche questa versione, decisamente particolare. I due si conoscono da tempo e questo si vede. Certo, magari un brano meno violento sarebbe stato l’ideale. Voto: 6.

Noemi e Sarah Jane Morris (Amarsi un po’): Incontro fra grandi ugole e personalità notevoli. Non poteva che scaturirne una grande performance. Di sera in sera Noemi mi convince sempre di più. Voto: 7.

Pierdavide Carone e Luci Dalla (Nanì): Questa sera mi convince di meno. Mi sembra che si trascini di più rispetto alle due esibizioni precedenti. Fra le quattro in odor d’esclusione però è senza dubbio quella  da salvare, quindi voto: 6.

Gigi D’Alessio e Loredana Bertè (Respirare): L’abbigliamento da confettino dark  con reggicalze a vista della Bertè fa sorridere, l’orario della messa in onda (una meno dieci) e le grida dell’aquila che è accanto a D’Alessio un po’ meno. Bocciati nettamente, voto: 4.

Irene Fornaciari (Grande mistero): Ci ho provato. L’ho osservata con attenzione cercando di non avere pregiudizi. Però se lei inizia ballando una melodia senza che ci sia musica e poi si muove a scatti pensando che faccia molto “rockstar determinata e cattiva” non ci siamo. Bocciata anche lei. Voto: 4.5.

Marlene Kuntz e Samuel dei Subsonica (Canzone per un figlio): Stavolta mi convince di più. Samuel dei Subsonica però di note non ne becca, diciamo che se la sua intenzione era quella di aiutare Godano e compagni  non ha svolto un gran lavoro. Gli esperti – i soliti – mi dicono che questa canzone è incantabile. Mi fido. Salverei anche questa. Voto: 6.