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Intervista/Panagopoulos, presidente del potente sindacato greco Gsee. “Tagliare pensioni e stipendi non serve. Il debito si cancella scovando gli evasori”.

DOPO 16 anni Yannis Panagopoulos, 57 anni, ex impiegato di banca, è ricaduto  nell’antico vizio del fumo. La scatola di sigari è tornata sul suo grande  tavolo di presidente del Gsee, il potente sindacato del settore privato,  novecentomila iscritti su due milioni e mezzo di addetti.

«A Bruxelles - spara a zero – non vogliono che la Grecia voti il 29 aprile. La troika,  l’Unione Europea, la Banca centrale di Francoforte e il Fondo monetario  internazionale, chiedono la certezza che il ‘Pasok’ e ‘Nea Demokratia’, i  due partiti che hanno accettato le direttive del secondo memorandum, restino  al potere per realizzarle. Insieme raccoglievano l’80 per cento dei voti. Ora i sondaggi li collocano molto al di sotto del 50 per cento. La storia dei 325 milioni di euro che mancano all’appello è solo un pretesto. O meglio  una specie di tortura cinese. Daranno prestissimo un’altra sforbiciata alle  pensioni. Si parla del 15 – 20 per cento».

  E’ sempre contrario alle misure votate dal parlamento domenica notte?
 «La riduzione degli stipendi e delle pensioni non ci farà uscire dalla
 crisi. Le previsioni che abbiamo formulato nel maggio del 2010, purtroppo,
 erano giuste».
  Quali erano?
  «Noi calcolavamo che la recessione sarebbe arrivata al 6,7 per cento. La  troika sosteneva che non avrebbe superato il 3… Ora è al 7. L’evasione  fiscale e il buco nero delle attività sommerse superano il 40 per cento  della nostra economia. I ricchi e gli evasori sono stati toccati poco o  niente. Basterebbe recuperare metà delle tasse non versate per cancellare il  problema del debito. Ma non vedo la volontà politica di prendere di petto la  questione. In compenso il settore privato ha perso 400 mila posti di lavoro  negli ultimi due anni e mezzo».
  Colpa della troika?
  «La sua teoria è che più riduci gli stipendi, più aumenti la competitività.  La stessa Ue recalcitra. L’Ocse ha scritto che prima del costo del lavoro ci  sono almeno 17 interventi da fare. L’elenco comincia con il peso della  burocrazia. C’è un nostro studio molto significativo».
  Su quale tema?
  «Il costo del lavoro. Fra il 1995 e il 2009 è cresciuto di 23 punti.  Diciotto sono legati all’apprezzamento dell’euro. Nello stesso periodo i  margini delle imprese non sono scesi sotto il 40 per cento. E i prezzi non  sono calati. E’ una catastrofe per le teorie della troica. Ma non è la  sola».
  Per esempio?
  «Ci hanno fatto ridurre lo stipendio minimo del 12 per cento (il 32 per i  giovani). Per aumentare l’occupazione, hanno sostenuto. Peccato che la  Spagna, che ha un tetto più basso del nostro, abbia almeno 5 punti  percentuali di inattivi in più!».
  Quindi che fare?
  «Circolano voci sulla cancellazione del 70 per cento del valore di alcuni  titoli. Sarà insostenibile. La Bce e altre banche europee debbono azzerarlo.  E si dovranno fare gli eurobond. Il nostro debito è solo la punta  dell’iceberg. La Grecia è anche diventata una sorta di monito vivente per l’Italia, la Spagna, il Portogallo e lo stesso Belgio».
  Le pare realistico tutto ciò?
  «La Bers, la Banca Europea per la Ricostruzione e per lo Sviluppo, dovrebbe  varare una sorta di piano Marshall per restituire i quattrini a chi ci ha  concesso prestiti…».
  Può indicare una cifra?
  «Venti-venticinque miliardi in tre anni».
  C’è molta polemica sulle colossali e soffocanti spese militari. Lei ha una  proposta?
 «Nel settore siamo il secondo miglior cliente della Germania. Lì c’è molto  da tagliare. Siamo la frontiera dell’Europa. Bruxelles deve assumersi una  responsabilità più ampia. E deve dire chiaro e tondo alla Turchia che un  attacco alla Grecia equivale a un attacco all’Unione».