Tre continenti per don Renzo Rossi
Non bisogna banalizzare la figura di don Renzo Rossi. Nato nel 1925, questo prete fiorentino è un uomo di tre continenti: l’Europa, preunitaria e spaccata dai nazionalismi, e quella della ricostruzione democratica; l’America del Sud, in cui è stato missionario in una delicata quanto efficace attività pastorale in Brasile, conla Madonnina del Grappa; infine, all’età di 73 anni, in Africa, nel Mozambico, dove ha insegnato da biblista nel seminario di Maputo. Il suo ritorno in Europa, nell’Italia che per lui vuole dire innanzitutto Firenze (con Mugello ed Empolese Valdelsa, passando per Signa), non ha voluto dire riposo. Don Renzo, su incarico dell’arcivescovo Giuseppe Betori, ha infatti accompagnato con delicatezza la Comunità delle Piagge in un momento difficile.
Le ‘Lettere dal Brasile‘ di don Renzo, ora edite da Sef, a cura di Matteo del Perugia, e in presentazione giovedì 17 maggio, alle 17.30, nella Sala D’Arme di Palazzo Vecchio, a Firenze, sono preziose per conoscere meglio don Renzo. Non sono mancati libri su di lui (il contesto è stato illuminato da Bruno D’Avanzo, la biografia da Emiliano Josè), ma qui c’è un percorso diverso che aiuta a ricostruire il profilo interiore dell’uomo e del prete, conosciuto a lungo – e anche giustamente – come amico di don Milani che in una lettera alla madre lo definiva «quel suddiacono piccino e spepero, che va in bicicletta».
Le 22 lettere, con presentazione di Piovanelli, introduzione del curatore Matteo Del Perugia, le testimonianze di Mauro Barsi, Sergio Merlini e, di nuovo, di Matteo Del Perugia, coprono un arco di tempo che va dal 1967, anno della morte di don Lorenzo, al 1981. Sono state inviate negli anni, in forma di bollettino stampato dalla Madonnina del Grappa. E un po’ raccontano chi era e chi sarebbe diventato.
“Caro Renzo – gli aveva scritto don Milani – … sarebbe bello che io potessi assolvere la funzione di serbatoio di pensiero per tutti gli indaffaratissimi preti che non han tempo per pensare a quel che fanno, ma vedo questa cosa assolutamente impossibile e del resto, anche immorale per parte loro”. Ma nessuno «può valersi nell’apostolato, del pensiero di un altro”. Quindi «sono giunto alla conclusione che sia mia specifica missione non il distribuire pensieri prefabbricati ai preti, ma solo turbarli e farli pensare».
Ce n’è anche per lo stesso don Renzo: “Non voler tener per buono, delle cose che mi hai sentito dire, altro che i pensieri che in te hanno provocato e il generico stimolo a una maggiore ponderazione”. A don Lorenzo fa “estremamente pena che qualcuno si è battuto accanitamente per difendere mie affermazioni cui io stesso non credo più da mesi e da anni. Altrettanto fanno naturalmente anche i detrattori”. Queste parole sono tutt’oggi una provocazione. “Credo – ha spiegato una volta don Renzo, a una commemorazione del priore di Barbiana – che il compito di don Lorenzo è ancora quello di provocare gli altri. Mi auguro che lui ci aiuti a capire quel che Dio vuole da noi. Lorenzo aveva il dono della profezia e ha consumato la sua vita dalla parte degli umili. Insomma, don Milani sarebbe meglio ascoltarlo piuttosto che parlare di lui”.
Ma ora è il momento di ascoltare don Renzo, che arriva in Brasile durante gli anni della dittatura, dal 1965 fino agli inizi degli anni ’80. Va a trovare in carcere il frate domenicano Giorgio Callegari, conosciuto nel ‘69 a San Paolo, ma poi arrestato, torturato e rinchiuso a Tiradentes insieme a frai Tito e frai Betto. Don Renzo non immagina che lì conoscerà prigionieri politici come il comunista e anticlericale Arruda Camara. “Quando ho visto i domenicani torturati – gli racconta Camara – mi sono reso conto che si può essere cristiani e al tempo stesso lottare per la giustizia”.
E’ una conoscenza più profonda delle cose che è maturata nel prete fiorentino, che nel1968, inuna delle sue lettere, aveva scritto: “Avverto ora che… c’era qualcosa di non esatto, guardavo il Brasile dall’alto, dal di fuori. Non che abbia detto cose false, ma ora le direi diversamente, con cuore diverso. È lo stesso sbaglio in cui molti cadono, il volere giudicare subito la realtà che ci circonda. E siamo convintissimi di dire la verità, tutta la verità. Ma il problema non è qui. Il male vero consiste nella nostra mentalità europea”.
Nel ‘74 viene arrestato un giovane della parrocchia di don Renzo, Fazenda Grande di Salvador Bahia. Il prete entra in carcere non come assistente spirituale ma come amico. Rendendosi conto di questo, molti prigionieri politici si avvicinano a lui, sentendolo solidale con loro, e abbandonano qualsiasi pregiudizio anticlericale.
Don Renzo cerca gli avvocati, tiene contatti con le famiglie e viene aiutato dal vescovo, il cardinale Dom Avelar, che gli dà una lettera dove si può leggere che don Renzo agisce in suo nome. All’inizio tutto va liscio. Poi la polizia si rende conto che gira per tutti i carceri del paese e che la sua azione è pericolosa per il regime. Vogliono fermarlo ad ogni costo. Una volta che è in Italia esce su tutti i giornali del Brasile la notizia che è organicamente legato all’opposizione armata. La cosa non ha fondamento, ma la dittatura spera di intimorirlo e di farlo rinunciare a tornare in Brasile. L’appoggio immediato e fermo dell’arcivescovo di Salvador frustra questo tentativo del regime.
Nel ‘78 don Renzo viene mandato in Europa a incontrare il maggior numero possibile di profughi politici brasiliani. E’ l’occasione per interessare alla vicenda brasiliana i politici europei. La democratizzazione nasce anche da questa sinergia di forze e dal forte impegno dell’episcopato brasiliano.
La storia di don Renzo in Mozambico – dove si parla il portoghese, come in Brasile – è tutta da scrivere e, ancora, da ascoltare. Chissà che non se ne senta qualcosa giovedì in Palazzo Vecchio.
Interverranno il sindaco di Firenze Matteo Renzi, il cardinale Silvano Piovanelli e Emiliano Josè. Modererà Andrea Fagioli, direttore di ‘Toscana Oggi’. Oltre al curatore, sarà presente lo stesso Don Renzo Rossi (sempre che, nel suo peregrinare per Paesi di lingua portoghese, non raggiunga anche l’Asia, a Macao).
Michele Brancale
Alcuni estratti dalle ‘Lettere’
1. “… Quale è il mistero dell’amore di Dio per noi? Prendiamo per esempio la morte di don Lorenzo Milani, che era per me un grande e carissimo amico e mi voleva tanto bene. Era anche una guida ed un maestro, non è che condividessi sempre il suo modo di pensare e di agire, ma perché tutte le volte che stavo un po’ con lui qualcosa in meglio cambiava dentro di me. Don Lorenzo aveva la grande capacità di non lasciar tranquillo nessuno. E che carica di umanità! Per chi lo giudicava a distanza poteva apparire un prete duro. Aveva invece un cuore traboccante di tenerezza e di comprensione. La sua morte mi ha fatto soffrire non solo perché è morto un amico quanto perché la sua voce non «tuonerà più». Dio sa come la Chiesa ed il mondo, oggi, abbiano bisogno di queste voci forti e tenere nello stesso tempo, in difesa di coloro che soffrono ingiustizia. Pregate, amici miei, perché qui in Brasile io sappia amare i miei poveri come li seppe amare don Milani. Termino riportando una frase di sua madre che mi ha scritto in una lettera un mese fa: «Lorenzo mancherà a molti amici, a cui ha lasciato un gran vuoto, ma senza amarezza: tutto è stato bello nella sua vita e nella sua morte». Ecco l’elogio più bello per don Lorenzo: l’elogio di sua madre”. (1967)
2. “… Capisco per esempio il Sudan,la Cina, l’India che buttano fuori i missionari. Troppe volte noi preti abbiamo voluto soltanto dare e niente ricevere. In senso un po’ diverso, ma è di qui che nasce la stessa problematica dei giovani di oggi, con le loro ribellioni e lo loro proteste. Stiamo andando davvero verso una visione nuova della vita e delle relazioni fra individui e popoli”.
3. “…Tutto ciò è meraviglioso anche se fa un po’ soffrire, ogni operazione violenta è sempre dolorosa. Ma forse necessaria. Ricordo sempre quel che mi diceva don Milani, quando lo criticavo per il modo irruente con cui diceva le cose. Mi sembrava che se le avesse dette con più dolcezza avrebbe ottenuto di più: «se parlassi con dolcezza mi ascolterebbero solo quelli che non ne hanno bisogno, perché mi ascoltino quelli che più hanno bisogno di cambiare la loro mentalità devo prenderli a calci e dir loro le parolacce». E così, ringrazio Dio di avermi concesso, durante i lunghi anni del mio sacerdozio, forse come il dono più bello, di poter frugare, o di bracare, per dirla alla fiorentina, nel cuore umano”. (Agosto, 1971)