Quei due amici ferraristi a Indy
Come immagino sappiate, si avvicina l’appuntamento classico con la 500 Miglia di Indianapolis.
Stavolta dovrebbero presentarsi ai nastri di partenza due miei vecchi amici.
Rubens Barrichello e Giovannino Alesi.
Debbo confessare di avere una sorta di pregiudizio nei confronti della gara più famosa che ci sia al mondo.
Non perchè non mi piaccia. Anzi, comprendo perfettamente l’entusiasmo degli americani per una competizione assolutamente unica. Esistono tante altre piste ‘ovali’, ma Indy, con i suoi mattoncini e il latte per il vincitore, rimane unica.
Poi ho conosciuto la città, visitata più volte quando ospitava il Gp di Formula Uno. E debbo ammettere che Indianapolis ha un legame straordinario con i motori, le corse, la velocità. E’ un po’ come Wimbledon/Londra per il tennis, ecco. Si gioca con le racchette anche in posti diversi, ma non è la stessa cosa.
Ma dicevo del pregiudizio.
Risale al tentativo di Piquet padre, parecchio tempo fa, di accedere alla 500 Miglia. Nelson incappò nelle prove in un incidente spaventoso e quasi ci lasciò la buccia. Circostanza che mi ha reso particolarmente odioso il comportamento tenuto dal figlio a Singapore 2008 (ah, non rivanghiamo, altrimenti la mania dei complotti chissà che frutti produce…).
Dunque, pur sapendo che un Emerson Fittipaldi, per dire, passò tranquillamente dalla F1 ai muri di Indy, quando un pilota appunto di F1 va all’avventura mi scatta un sintomo di preoccupazione.
Figuriamoci per i due ex ferraristi.
Barrichello è stato, numeri alla mano, il miglior ‘numero 2′ nella storia della Rossa. Ce la meniamo tanto con l’attuale rendimento di Massa e facciamo bene: se Felipe eguagliasse i risultati di Rubens, certamente persino Alonso sarebbe più contento, a maggior ragione vista la situazione che si è creata nel campionato.
A me Pedescinello stava simpaticissimo e credo di averlo scritto più e più volte. Era piagnucoloso, lamentoso, sempre pronto ad attribuire la supremazia di Schumi a chissà quale congiura (del destino, di Todt, di Brawn, di Montezemolo, di Lupo de Lupis, di Rocky Balboa, eccetera). Però in cuor suo conosceva perfettamente la realtà e per un lungo periodo ha avuto la dignità di accettarla con stile. Tra l’altro, con lui in squadra, a parte il 2005 della gomma che non si poteva cambiare, la Ferrari ha sempre vinto il titolo dei costruttori. E anche questo conta (oh, a scanso di equivoci: sul Massa del 2006-2007-2008 la mia valutazione è positiva, facciamo fino all’incidente orrendo di Budapest. Dopo, stop).
Fatico a capire cosa vada cercando oltre oceano, il mio amico Rubens. Al tempo stesso, gli riconosco di essere animato da una passione che ammiro. Escludo vada a Indy, da ‘matricola’, per il vil denaro.
Su Alesi potrei scrivere un romanzo. Mi astengo per pudore.
Nel suo caso, tentare di correre la 500 Miglia dopo una assenza prolungata dalle gare in monoposto è semplicemente una follia.
Ma che ci volete fare?
Io mi ricordo l’estate del 1995.
La Ferrari aveva appena annunciato l’ingaggio di Schumi. Al posto di Giovannino.
Internet era agli albori e nei giornali si facevano ancora le…dirette telefoniche con i lettori, invitati a dire la loro su un argomento chiamando un certo numero.
Ne organizzammo una sullo scambio Alesi-Schumi tra Ferrari e Benetton.
Centinaia e centinaia di chiamate. Eravamo alla vigilia di Monza.
Giuro: il novanta per cento degli interlocutori si schierò con il francese, maledicendo o quasi l’ingaggio del tedesco.
Immagino abbiano cambiato idea, poi.
Ma questa era la popolarità di Alesi, dopo anni Rossi ripieni di sfighe e delusioni.
E certe cose non si dimenticano.