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Sempre in trasferta

Beverly Oden ha raccontato nell’ultimo blog uno stupore che noi italiani forse non riusciamo a capire. Lo ha fatto portando l’esempio della storia degli Stati Uniti del volley, che giocano sempre in trasferta anche quando giocano in casa. E che quindi si sono stupiti, nel torneo di qualificazione per le Olimpiadi, di avere finalmente dei veri tifosi a supportarli.

Quando sono arrivati con il loro bus al palasport Pyramid Walter di Long Beach, per giocarsi la finale per il pass olimpico contro il Canada, gli americani sono rimasti molto sorpresi. Perché dietro l’ultima curva, racconta Beverly, la squadra ha trovato centinaia di appassionati a sventolare bandiere e striscioni. A guidarli era il supertifoso Matt Garthoff, un personaggio pittoresco che assiste alle partite della nazionale americana con un cappello a tricorno e una giacca dell’esercito dell’Unione: “Dopo un saluto a giocatori e allenatori, Matt ha fatto strada al bus attraverso la folla di tifosi plaudenti, correndo con la sua enorme bandiera americana”. Talmente insolito per gli americani, che gli stessi giocatori si sono fatti foto e video, per immortalare il momento: “Questa cosa mi ha fatto sorridere”, ha raccontato il centrale David Lee, “era la prima volta che vedevo qualcosa di simile negli Stati Uniti”.

Il punto è proprio questo. La nazionale americana gioca raramente in casa, e quando lo fa, essendo il volley uno sport senza un campionato, ma praticato solo a livello scolastico, i tifosi non sono particolarmente caldi. “A Chicago ci capitò una cosa da pazzi, durante la World League, contro la Polonia”, spiega l’alzatore Donald Suxho: “C’erano circa 4.000 tifosi polacchi al palasport, contro meno di 1.000 americani. Che cosa puoi dire? L’America è un posto molto vario. Ognuno ha il diritto di sostenere la propria squadra, il proprio paese”. Solo che per uno sport a scarso appeal patriottico come è la pallavolo negli Usa, finisce che spesso le comunità degli immigrati si facciano sentire più dei tifosi americani. E’ capitato anche giocando nella zona di San Francisco contro la Cina: i tifosi orientali hanno sovrastato quelli americani.

Quando sono arrivati alla finale per il pass, quindi, tecnici e giocatori quasi non credevano ai loro occhi: “Questa è stata una delle prime volte in cui ho sentito il pubblico cantare il nostro inno nazionale”, ha raccontato lo schiacciatore Matt Anderson, che sta per lasciare Modena per la Dinamo Kazan: “È stato davvero qualcosa di speciale per me e per la nostra squadra”. Il pubblico si è fatto sentire anche durante la partita: silenzioso sui punti del Canada, è esploso ogni volta su quelli degli americani, per poi osteggiare con campanacci da mucca i servizi avversari in un frastuono incredibile.

Il commento più bello, secondo me, è quello che scappa a Beverly verso la fine: sembrava di essere in Europa.