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Quell’inno straziato da Arisa e l’ingiusta multa ai napoletani

Se fossi il Napoli non pagherei la multa del giudice sportivo. Quei 20 mila euro da versare alle casse della Federcalcio sono un doppio affronto: ai tifosi partenopei e ai melomani, cioè agli amanti della musica. Prima della finale di Coppa Italia qualche mente illuminata ha pensato bene di affidare l’esecuzione dell’inno nazionale alla cantante Arisa, già trionfatrice a Sanremo e dotata di una vocalità suggestiva.

Ma il suo ”Fratelli d’Italia”, cantato a cappella senza sottofondo musicale, è risultato così stridulo e gracchiante da incoraggiare i fischi di uno stadio intero. Se poi i napoletani fischiavano con più veemenza tra le volte dell’Olimpico, è solo una questione culturale, legata al carattere, all’indole di un popolo, certamente più esplosivo dei compassati bianconeri juventini. Ma gli appassionati del vecchio Ciuccio non ce l’avevano con Mameli e neppure con lo Stato italiano e i suoi rappresentanti. Da buoni melomani fischiavano quell’inno straziato, quell’esecuzione un po’ bambinesca e un po’ stranita che ha solcato l’orecchio sensibile del grande pubblico televisivo. Se il Napoli dovesse pagare la multa, chieda almeno un risarcimento ad Arisa.