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Paoletto in prigione, l’Opus dei alla finestra

COME nei migliori romanzi gialli, il colpevole è il maggiordomo. Indagini permettendo, la gola profonda del Palazzo apostolico ha un nome è un cognome: Paolo Gabriele, di professione domestico del papa. Sarebbe stato lui a far uscire dalle mura leonine le carte riservate sul ruolo di Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore romano, nella cacciata di Dino Boffo da Avvenire, sulle strategie intorno al San Raffaele e sullo scontro tra il Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e l’ex arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi.

La Gendarmeria vaticana ha trovato nella sua casa alcuni documenti riservati, non si sa se l’aiutante di camera – questa la dizione specifica del maggiordomo papale – avesse intenzione di diffonderli. Interrogato dal promotore di  giustizia, Nicola Picardi, Gabriele da due notti si trova rinchiuso in una cella di sicurezza, in stato di arresto. Rischia trent’anni di reclusione – da scontare in Italia, la Santa Sede non ha prigioni – per aver divulgato carte top secret, finite sulle prima pagine dei giornali di tutto il mondo.

Romano, 46 anni, sposato con tre figli, il maggiordomo vive a stretto contatto con Benedetto XVI. Dal 2006, Gabriele, per gli amici Paoletto, serve colazione, pranzo e cena al papa, gli prepara la stanza prima del riposo notturno. Conosce le abitudini, i vezzi, i gusti, i tic del Santo Padre. Gli inquirenti sarebbero arrivati a lui, partendo dalla considerazione che alcune delle carte diffuse non presentavano il sigillo della Segreteria di Stato, pur essendo giunte anche nelle stanze di Bertone.

Ma è possibile che Paoletto sia il regista e l’interprete di uno scandalo planetario? Assolutamente no e, difatti,  la Gendarmeria non smette di scovare gli altri corvi nascosti in Vaticano. Sempre più accerchiati, sempre più isolati. A dirigere la polizia vaticana, oltre al promotore di giustizia, da qualche settimana è attiva la Commissione d’inchiesta cardinalizia, nominata da Benedetto XVI per fare piazza pulita. Composta da tre porporati in là con gli anni, la Commissione sembrava destinata al fallimento. Invece, Ratzinger ci ha visto giusto, puntando sull’esperienza di chi conosce bene logiche e partiti della Curia romana.

Coincidenza ha voluto che l’arresto dell’aiutante di camera sia arrivato in concomitanza con la sfiducia, da parte del board dello Ior, del presidente Ettore Gotti Tedeschi, banchiere di punta dell’Opus Dei. Inizialmente sostenuto da Bertone, con il passare degli anni Gotti Tedeschi ha visto incrinarsi il rapporto di fiducia. Prima le diverse vedute sulla scalata vaticana del San Raffaele, poi il contrasto sulla normativa antiriciclaggio che il Segretario di Stato non ha voluto retroattiva. Negli ultimi mesi tra i due era sceso il gelo. Inevitabile il divorzio, anche se non di comune accordo. Non a caso sono proprio ambienti vicini a Bertone che in queste ore indicano in Gotti Teeschi la seconda gola profonda. Lui non ci sta e minaccia querele.

Intanto, dopo i giorni delle notizie in libertà, in Vaticano entrano in gioco manette, avvocati e pm. La guerra tra bande sta offuscando la credibilità Oltre Tevere. Il papa, acciaccato ma lucido, accelera. Benedetto XVI non solo punta a bloccare i dossier, vuole anche arginare la faida interna alla Santa Sede. Quella che mira a un nuovo assetto della Segreteria di Stato e a dominare il prossimo conclave. Facendo fuori Bertone, l’unico personaggio posto in cattiva luce da tutte le carte pubblicate in questi giorni. A dicembre il braccio destro di Ratzinger compirà 78 anni e tanti in Santa Sede ne chiedono l’avvicendamento. Magari con l’attuale prefetto della Congregazione per il clero, Mauro Piacenza, molto gradito all’Opus Dei.

Eppure l’impressione é che in Vaticano cambierà tutto per non cambiare niente, come spesso accade nei sacri palazzi. Quella in atto è l’ultima fase del pontificato di Benedetto XVI, come ha ricordato di recente lo stesso vescovo di Roma. Non si sa quanto durerà, tuttavia appare improbabile che il papa voglia privarsi, proprio ora, del suo fedele collaboratore. I due si conoscono e stimano dai tempi di Doctrina fidei, quando Ratzinger era prefetto e Bertone suo segretario. Per le svolte impossibili il tempo sembra esaurito, con buona pace dei complottisti.

Giovanni Panettiere

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