Il Sant’Uffizio cambia aria, almeno sulla carta
(Monsignor Gerhard Ludwig Muller)
SESSANTACINQUE anni, teologo, tedesco, ma soprattutto collaboratore del papa. Si chiama Gerhard Ludwig Muller e, come da previsione, è il nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. A lui, finora vescovo di Ratisbona, città celebre per la lezione pontificia che scatenò l’ira dei musulmani, Benedetto XVI ha affidato l’incarico di vigilare sul rispetto dell’ortodossia cattolica.
MUELLER subentra al cardinale William Levada – in pensione per raggiunti limiti di età – non solo al vertice dell’ex Sant’Uffizio. Dall’americano eredita anche la presidenza della Pontificia commissione biblica, della Commissione teologica internazionale e della Pontificia commissione Ecclesia Dei, l’organismo vaticano incaricato di traghettare i lefebvriani nella Chiesa.. Per Mueller non sarà una partita semplice da giocare. Oltre al complicato dialogo con i tradizionalisti, fermo al palo dopo che nelle scorse settimane la pace sembrava dietro l’angolo, il vescovo dovrà gestire l’affaire delle suore statunitensi, accusate dall’ex Sant’Uffizio di essere troppo liberal.
UN PO’ come è accaduto a Mueller che l’ala conservatrice cattolica ha cercato ‘di bruciare’ fino all’ultimo minuto nella corsa al dopo Levada. Anche quando era ormai chiaro a tutti che per Doctrina fidei Ratzinger avrebbe scelto il pastore di Ratisbona e non il prefetto per le cause dei santi, cardinale Angelo Amato, più in linea con i desiderata ortodossi. A infastidire i detrattori sono la formazione e qualche amicizia non convenzionale di Mueller.
NATO a Magonza, il futuro cardinale è cresciuto alla corte del vescovo storico della città tedesca, quel Karl Lehmann, senza dubbio tra le figure più in vista del fronte progressista. A ciò si aggiunge la tesi sul teologo protestante Dietrich Bonhoeffer e la stesura, a quattro mani con il teologo Gustavo Gutierrez, del saggio Dal lato dei poveri. Il volume è solo uno dei 400 lavori accademici firmati da Müller, ma rappresenta il segno indelebile della simpatia e dell’amicizia tra il presule e il padre della Teologia della liberazione, la corrente di pensiero che coniuga marxismo e cristianesimo. E che Ratzinger, nei suoi ventiquattro anni alla testa della Congregazione per la dottrina della fede, ha provveduto a decapitare.
LEHMANN, Bonhoeffer, Gutierrez: bastano questi tre nomi a etichettare Mueller come progressista? Non proprio visto che, da vescovo di Ratisbona, il successore di Levada ha usato la mano pesante contro Noi Siamo Chiesa, il movimento liberal che, tra l’altro, punta al matrimonio dei preti, al sacerdozio femminile e a una svolta morale sull’omosessualità. Un elemento poco conosciuto, ma di certo rassicurante per un papa Ratzinger. Che, anche in questo caso, ha scelto per un ufficio di prim’ordine una figura con la quale ha collaborato e di cui si fida, al di là della formazione del designato.
È STATO così per il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, sprovvisto di trascorsi diplomatici, ma vice di Ratzinger a Doctrina fidei, per Levada, dirottato all’ex Sant’Uffizio, perché tra gli estensori del Catechismo della Chiesa cattolica sotto la super visione del futuro papa, nonostante non vantasse una forte preparazione teologica. Ora tocca a Mueller, con il quale Benedetto XVI ha curato la collezione della sua intera opera omnia. Per Ratzinger, più che per Wojtyla, contano gli amici e i collaboratori, quando si tratta di cambiare pezzi da novanta. E pazienza se, almeno per una volta, il tutore dell’ortodossia non sarà un reazionario di ferro.
Giovanni Panettiere
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