Siria/ I ribelli di Zabadani senza paura: “Assad ci faccia votare”
ZABADANI (Siria) .ERA UN rifugio estivo della borghesia benestante di Damasco e dei Paesi del Golfo. Ora a Zabadani si arriva attraversando sette posti di blocco dell’esercito e impegnandosi a ritornare a un orario preciso, nel nostro caso le tredici. Non potremo restare in città più di due ore e un quarto. I capi dell’opposizione al regime sono convinti che non sarà possibileemergere dalla spirale della violenza. La frase esatta è questa: «L’azione politica e i mezzi militari possono procedere assieme». Un leader che si autodefinisce «agricoltore», in elegante abito marrone, mette subito in campo un episodio concreto che per lui ha valore di simbolo: «Qualche giorno fa c’è stata una manifestazione. L’esercito ha sparato contro il corteo.
Subito dopo sono venuti da noi a scusarsi. Sostenevano che era stato un errore. È calato il buio. Hanno tolto la corrente e hanno ripreso a bombardare».
NELLA STANZA inondata dal sole, al terzo piano di una palazzina molto vicina
al Municipio, un ridotto di lealisti, entra un uomo alto e imponente. Si presenta come «esperto legale dell’opposizione di Zabadani». È un cristiano. Sembra dispiaciuto dalla piega tragica che hanno preso gli eventi: «All’inizio della rivoluzione c’erano segnali che Bashar non ha
interpretato. Così tutto è finito fuori controllo. Una soluzione solo politica non è più possibile. Resta solo quella militare, se c’è l’appoggio della gente e un’organizzazione adeguata». Da buon giurista, «l’esperto legale» è sensibile al tema della responsabilità. La chiede per gli alti
papaveri del regime. Anche su questo tema il presidente lo ha deluso: «Bashar aveva cominciato bene, ma poi non ha saputo vincere le resistenze di molti vecchi arnesi che gli stanno attorno».
SUL FATTO che la Siria sia ormai il terreno di scontro di potenze straniere, scrolla vigorosamente la testa: «Ci sono tanti interessi , ma la chiave in mano ce l’abbiamo noi. Mio fratello andando alle dimostrazioni rischiava venti anni di galera. Pensa che lo abbia fatto per gli Usa? C’è un gioco internazionale, ma se non ci fossero state le manifestazioni non avrebbero
pensato a noi. Noi non dipendiamo dai soldi del Qatar, non siamo salafiti (islamici ultratradizionalisti, ndr), la volontà della gente non può essere sconfitta».
L’«AGRICOLTORE» ha un’idea semplice, ma chiara: «In democrazia si farebbe in
questo modo. Bashar organizza elezioni presidenziali anticipate e si vota, punto». A Zabadani si spara ogni notte. In dicembre la cittadina, 40mila abitanti, trentacinque chilometri a nord della capitale e vicinissima al confine con il Libano, era caduta nelle mani dei rivoltosi. Qualcuno aveva
pianificato di trasformare Zabadani nella Bengasi della Siria. L’esercito di Assad l’ha ripresa a prezzo di combattimenti intensi. Vicino al quinto posto di blocco dei militari c’è un curioso monumento al violoncello. L’interprete ci spiega che l’avanzata dei rivoluzionari è stata fermata proprio all’altezza di questo singolare omaggio pubblico alla musica.
LE STRADE della periferia sono deserte. Da un terrazzo svetta un cumulo di sacchetti di sabbia. Un camion deposita un piccolo carro armato. L’«agricoltore» indica il terrazzo di un palazzo moderno: «L’hanno colpito. C’era una donna che ha perso la vita. Eppure quella non è una zona attraversata dalle manifestazioni». Si congeda con il bilancio, ovviamente provvisorio, dei concittadini caduti: «Dall’inizio degli scontri sono stati settanta».