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La scatola dei ricordi

Erano gli anni in cui Alberto Tomba vinceva tutto: sbruffone e bonaccione a cui era impossibile non volere bene. Tutte le domeniche, andavamo dai miei nonni e in televisione trasmettevano le gare di sci. Tomba numero uno, Tomba la Bomba. Lui scendeva per lo slalom e noi cominciavamo a pranzare. Mia nonna serviva la minestra, i grattini, con i fegatini. A me e a mia sorella aggiungeva qualche fegatino in più. Mio nonno stava a capotavola, mia nonna vicino al fornello, come la maggior parte delle padrone di casa, comode per servire, alzarsi e sparecchiare senza gente tra i piedi. Vicino a mia nonna, mia sorella. Io di fronte a mio nonno e i miei genitori sull’altro lato lungo. Come secondo, cotolette. Le faceva friggere fuori, in un’altra cucina che si affaccia sul cortile. Il limone era già tagliato a fettine, il pane caldo e croccante.

I miei nonni avevano i campi e, fino a quando è stato possibile, li hanno mandati avanti loro – come si dice dalle mie parti – con mio papà. Avevano le viti, ma da qualche anno le hanno date in affitto. Ma ricordo quando, bambina alle elementari, proposi alla mia maestra Santina (quella che ci insegnò: “Non dovete sempre ripetere Io Io Io: I-o è il verso dell’asino”) di andare a vedere la vendemmia. Mio papà poi ci fece fare un giro nella cantina, tra le damigiane,  i tappi e le macchine per imbottigliare. Ho sempre amato la vendemmia, soprattutto quando arrivava la luna per imbottigliare, perché in alcune bottiglie, se il vino era troppo amaro, aggiungevano una zolletta di zucchero. Una alla bottiglia, una per me.

Il profumo. È il profumo il ricordo più vivo. Il profumo dei pastelli e delle matite, delle penne e delle gomme. Il profumo della carta colorata, la forbice con le punte smussate. Sotto, la tovaglia marroncina che scivolava sulla tavola. Dopo la scuola, passavo così i miei pomeriggi. Facevo i compiti e scrivevo, scrivevo, scrivevo, ritagliavo e incollavo. Spesso venivano anche le mie amiche: una, in particolare. Si chiamava Elisa, ma per tutti è sempre stata Lianca, “come la regina delle zingare”, diceva lei. Ci siamo perse di vista subito dopo le elementari, ma eravamo amiche, migliori amiche. Qualche volta è venuta pure Elisa, un’altra Elisa. Un giorno mi rubò una sottoveste lilla e le scarpine in tinta della mia Barbie. Non gliel’ho mai detto. Questo è il momento giusto. Ti ho scoperto, sai?

Ma è l’orologio a cucù il segno distintivo della casa dei miei nonni. Quando lunedì ha cantato, tutti abbiamo pensato la stessa cosa. L’ha detto mia cugina, una delle mie cinque gambe. La mia  nipotina fa merenda solo se le si promette di andare a trovarlo. Lo imita, anche. Ed è bravissima.

Perché in fondo, è il cerchio della vita. Adesso che la casa è rimasta vuota, però, anche il cucù si sentirà più solo.