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La sedia gialla (2)

Nessun giallo. La storia della sedia è questa: nel 1946 in un giornale locale del Friuli esce un annuncio: cercasi persona in grado di installare, ampliare e dirigere una fabbrica di sedie a Bologna. A Sacile lo legge il signor Eugenio Modolo che dirige gli stabilimenti Lacchin. Viene a Bologna, a Castel San Pietro, accetta, lascia tutto e si trasferisce con moglie e tre figli. Porta con lui Giovanni Giacomin (mio nonno) capo officina (che porta con lui moglie  e due figli) e Antonio Lessi (specialista nella curvatura del legno. Nasce la Elsa, Emiliana Lavorazione Sediame e affini. Il proprietario è il signor Leo Rossi, Cavaliere del lavoro. A metà anni ’50, credo nel ’58, mio zio, Franco Giacomin che lavora in officina con suo padre, mio nonno, va alla fiera del mobile di Milano. Al ritorno, il cavaliere gli chiede: che possiamo fare per farci pubblicità? Lui risponde: se facessimo barattoli metterei un grande barattolo sul tetto, visto che facciamo sedie mettiamo una sedia. Rossi gli dà il via. Mio zio, che allora ha 17 anni, lavora già da 7 e ha fatto disegno industriale per cinque anni alle scuole serali in Friuli, disegna la sedia: dieci metri per 4, riproduzione in scala di una sedia. Un’officina del paese, Mirri e Casadio, taglia le lamiere. Lui le salda (da solo) in due giorni. Realizza il sedile usando gli scarti di lavorazione della lamiera e monta, sfruttando il timone di una vecchia caldaia da mietitrebbia acqusitata per  curvare il legno, una sfera semi-mbile che dovrà compensare le oscillazioni con il vento. La sedia è pronta. pesa 600 chili. La issano sul tetto della fabbrica (tre piani, una ventina di metri) in dieci persone, a forza di braccia (mio zio, che mi ha raccontato la storia, sta a guardare). La devono sollevare almeno tre-volte, perché lo schienale si incastra nel sottotetto. L’Elsa negli anni del boom arriva a dare lavoro a oltre 100 persone ed è l’unica imoprtante fabbrica del paese. Chiuderà mi sembra negli anni ’70. La sedia rimarrà lì sul tetto fino a metà anni ’80, poi verrà acquistata dalla Mercatone che la utilizzerà nella sua sede espositiva di Toscanella di Dozza dopo averla dipinta di giallo. E lì ne ho perso le tracce, forse è stata rottamata, ma se la ritrovo integra stavolta la compro. Spero vi sia piaciuta, è una storia che per me coinvolge affetti familiari e spiega perché metà della mia famiglia dal Friuli sia arrivata qui. Ma dentro c’è anche un bel pezzo di quell’Italia del Dopoguerra che produsse il boom economico. Altri tempi. Altri tempi? Forse.