Assunzione di cronache estive (e l’amaca di Albisani)
Maria, ha restituito nel giorno dell’Assunzione le voci assorbite dal mare e quella contemplazione delle cose, così necessaria e stringente anche se spesso non confessata, che a Ferragosto ha richiamato sulla spiaggia di Marina di Cecina migliaia di persone. Dal gorgo dell’abisso, per usare un’espressione efficace di Mimmo Sammartino, sale il canto clandestino degli immigrati, di quelli che lavorandovi oppure viaggiando, come nel caso della Concordia, la sorte ha accolto tra le onde, dei marinai di ieri e di oggi, di chi nel mare trova le ragioni per vivere, di chi vorrebbe il mare per scappare da tragedie come quella siriana. C’è un sapore agrodolce delle cose che però è bene sentire nel palato della quotidianità. Il sindaco Benedetti, accanto ai vescovi di Volterra Silvani e l’emerito Bertelli, alle altre autorità civili e militari e, soprattutto, a quanti, dalla parrocchia di Sant’Andrea si sono fatti promotori, anche quest’anno, dell’iniziativa, si è richiamato dalla terrazza dei Bagni Bisori a quel “noi” che, soprattutto in tempi di crisi, si fa àncora contro le disperazioni e gli egoismi dell’io, anche contro qualche accento patriottico un po’ passatista. C’è spazio per fermarsi, per ritrovare un respiro comune e la memoria degli altri, un senso di festa condivisa, come è accaduto anche con i magnifici fuochi d’artificio che hanno illuminato il cielo, nella notte, sul mare di Cecina.
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San Lino guarda con indulgenza, dall’alto della chiesa di san Giusto, a Volterra, i suoi vicini dirimpettai del circolo Arci ‘Pesca e friggi’ – in fondo il suo maestro, Pietro, era pescatore – sotto il pratone che fa da corte alla sobria maestà dell’edificio religioso. In una bottega nascosta al suo fianco, un anziano maestro artigiano, Lido Gazzina, modella l’alabastro. Questo tesoro si colloca in quartiere che presenta i tratti della periferia, con case un po’ cadenti, dove vivono italiani e immigrati. Ragazzini di diversa provenienza, cioè uguali, giocano insieme e neanche ci pensano alle differenze assunte come minaccia. E’ una periferia nobilitata dalla bellezza della chiesa e del suo prato e lancia, senza pensarci, un messaggio.
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E però. Sauro Albisani fa centro con un bel libro e aspetta. Finalista al Premio Viareggio, si gode l’estate ne ‘La valle delle visioni’, centouno poesie in tre sezioni (‘Una canoa sul Terzolle’, ‘In ordine alfabetico’ e ‘Coniugali’) edite da Passigli che ne riconsegnano quella ricerca dell’essenziale che ha scolpito nelle parole e nell’esistenza, come anche nei libri: “Scrivo, ma pubblico poco – scherza, ma non troppo – Insomma, non disturbo tanto”. Albisani vive e insegna a Firenze, con radici nell’alto Mugello, la stessa terra da cui discese Dino Campana. Carlo Betocchi e Orazio Costa sono stati decisivi nella sua formazione. Ha all’attivo, tra le sue opere, ‘Campo del sangue’ (del 1987) e ‘Terre e cenere’ (del 2002). In questo suo nuovo lavoro il tema che emerge sugli altri è quello della fedeltà nel tempo (“non è mai innocuo il disordine”) a fronte di ogni possibile disincanto, in un’accurata ricerca formale fino a diventare gli otto canti delle ‘Coniugali’ che chiudono il volume. E siccome è ancora tempo di vacanza, può farci compagnia da una parte la liberazione raccontata in ‘Vuoto a perdersi’ e la sapida leggerezza de ‘L’amaca’: “Leggo sdraiato su un’amaca/ legata a un nespolo e a un olivo./ Alzo gli occhi dalla pagina/e guardo le foglie illuminate/ dal riverbero della lampada/ contro il buio: se non le muovesse/ un filo di vento/ penserei a un disegno/ su un foglio nero./ Se chiudo gli occhi/ ci allontaniamo così tanto nel tempo/ io e i due alberi/ che non oso allungare la mano verso la ghiaia/ perché so che l’amaca è tesa sul vuoto/ e sotto questo corpo immobile/ non c’è più terra/ ma solo un sogno”.
Michele Brancale