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Eurobond tra le righe?

Cosa bolle nel pentolone europeo? Angela Merkel al termine del vertice bilaterale con Mario Monti ha detto:  «Appoggiamo il lavoro di Barroso, Draghi, Van Rompuy e Juncker sull’Europa e daremo un nostro contributo». Si riferisce al restyling dell’architettura europea che ha iniziato il suo prevedibilmente lungo e spinoso cammino al consiglio europeo del 28 giugno scorso con la relazione di Van Rompuy e dovrebbe iniziare a muovere i primi passi dal dicembre prossimo. Fin qui non ci sarebbe nulla di cui stupirsi, la stessa Merkel alcuni giorni fa si era espressa chiaramente per un nuovo trattato che riponga le basi legali all’Europa unita.
Quel che è meno scontato — salvo correzioni perse di vista tra i tanti vertici che si sono succeduti questa estate — è leggere le parole tedesche e andarsi a rileggere i quattro punti scritti al vertice di giugno:
1) un quadro finanziario integrato che assicuri la stabilità finanziaria nell’eurozona e minimizzi l’impatto dei fallimenti bancari sui cittadini europei. Per esempio attraverso la supervizione bancaria a livello europeo che utilizzi meccanismi comuni per risolvere le crisi bancarie e garantire i depositi.
2) L’unione di bilancio che controlli la politica fiscale dei singoli stati coordinandole a libello europeo. Un primo passo verso l’emissione comune di debito.
3) Una politica economica integrata che promuova la crescita…
4) Assicurare la legittimazione democratica alle decisioni europee.
Fermatevi al punto due: primo passo verso la mutualizzazione dei debiti significa sostanzialmente eurobond. La Germania è d’accordo anche su questo? E da quando? O il contributo tedesco citato dalla Merkel riguarda proprio questo punto? La risposta non è di poco conto, ma non la sappiamo. Sappiamo solo che la Merkel ha giurato: mai finche ci sarò io. Quindi?