Parla Jay Elliot ex number 2 di Apple: “Jobs, il genio da un dollaro al mese”
«STEVE JOBS non aveva mai denaro con sé e neppure carte di credito.
Semplicemente non gli interessava, non ci pensava. A volte pagavo io o qualcun altro che era con lui. Aveva un salario di un dollaro. Quando Tim Cook è entrato ha ricevuto stock options a valore garantito per 385 milioni di dollari a 10 anni». Jay Elliot è stato per anni l’ombra, ovvero il
vicepresidente esecutivo, di Steve Jobs, morto un anno fa, il 5 ottobre 2011.
Si può con un semplice computer?
«Tutto quello che mi serve ora è il cellulare che tengo in mano. Così la tecnologia è stata trasformata in oggetto di uso comune. Il mondo è cambiato davvero».
Secondo Lei per ottenere il risultato sono necessarie una visione a lungo
termine e una vera passione.
«Molte aziende fondamentalmente pensano a guadagnare nel breve termine o a come vanno le azioni sul mercato. Facciamo un esempio: Kodak era la prima nel mondo per le macchine fotografiche. Oggi è in bancarotta. Non avevano una visione a lungo termine sull’uso delle macchine fotografiche. Hanno cambiato tanti manager, ma non hanno preso nessuno che avesse una visione. Eppoi devi essere concentrato sul prodotto e non sulla finanza. E devi appassionarti a ciò che stai facendo».
Un esempio concreto?
«Penso a quelli che vanno a Washington per chiedere di essere salvati e all’aeroporto si fanno prelevare da limousine Mercedes. Ma, se sono della General Motors, debbono chiedere una Chevrolet vivaddio! Ricordo un aspirante all’assunzione in Apple che quando aprì la sua borsa tirò fuori un computer Dell. Steve se ne andò via senza profferire una sola parola».
Nel libro parla della conversione buddista di Jobs, delle sue case con
pochissimi oggetti.
«Lui era molto essenziale, al contrario di molti executives. Era tutto concentrato e sui suoi prodotti. Anche per questa ragione Apple ne ha solo 9 mentre Sony ne enumera circa mille. Però non sono per nulla contento di quello che è successo con l’iPhone 5».
Perché?
«Bisogna concentrarsi sulle priorità. Maps lo è di sicuro. Non posso credere a quello che è successo. E’ esploso qualcosa. Poi Tim Cook ha scritto una lettera di scuse. Io penso che ci fossero mezzi di comunicazione più efficaci. Doveva mettersi su un social network e convocare una
conferenza stampa. Si è comportato come un amministratore delegato tradizionale. Ha anche detto che si potevano usare alternative. Ha citato Google maps. Google è un concorrente. Avrebbe dovuto dichiarare che stavamo sviluppando un’alternativa e che l’avremmo fornita gratis. Sono molto arrabbiato. Una parte della filosofia di Steve Jobs non è più lì. E i concorrenti se ne avvantaggiano».
C’è una grande competizione con
Samsung. Una corte in California ha condannato l’azienda sudcoreana a una multa di un miliardo e mezzo di dollari per aver copiato iPhone e iPad. La battaglia è finita?
«Non credo. Apple e Samsung Sono mondi diversi. Il nostro grande vantaggio è che costruiamo tutto il prodotto. Samsung invece prende il software da Android di Google o quello per i computer da Microsoft. Non possono competere. Apple crea il mercato. L’iPad non esisteva, come l’Mp3. L’iPhone ha fatto affermare le apps. Loro hanno potuto solo copiare».
La critica che si sente fare alla Apple è che i prezzi sono molto alti.
«Noi diamo prodotti di qualità, debbono essere valutati per quello che valgono e che fanno. Quello a cui non si è mai pensato in Apple è il denaro o il prezzo delle azioni».
Che cosa pensa della ribellione alla Foxconn di Tayuan, in Cina, dove si
monta anche l’iPhone 5. Ci sono condizioni di lavoro durissime.
«Ciò che si fa in Cina per Apple è meno del 5 % del prodotto. E la Mela è sempre sotto i riflettori dei mass media. I disordini pare siano scoppiati per una lite fra dipendenti di due diverse province. Il problema è l’economia mondiale, la globalizzazione. Tim Cook può affrontare la
questione. All’Ibm era l’esperto di logistica».