I miei ricordi di Suzuka
Suzuka, o cara.
Naturalmente io non sono Schumi, non ho il suo conto in banca e nemmeno i suoi record in bacheca. Eppure, come lui, mi sento particolarmente legato a questo circuito giapponese.
E’ un miscuglio di ricordi. Un frullato di sentimenti contrapposti.
Ho già raccontato, non rammento quando, l’emozione forte e violenta di quella domenica del 2000. Non starò qui a ripetermi, la vecchiaia rende noiosi.
Mi limito a ribadire che una cosa così non la vivremo mai più. Parlo per me, che avevo visto il primo Gp dal vivo nel 1985 e mi ero sciroppato l’intera, o quasi, traversata nel deserto ferrarista. Ma parlo anche per Michael: dubito che altre straordinarie vittorie, prima e dopo il 2000, gli abbiano regalato altrettanto gioia. Parlo per Montezemolo, per Todt, per Domenicali, per le centinaia e centinaia di ingegner e meccanici che aspettavano un momento così in pratica da sempre (ventuno anni, in una storia d’amore, sono l’equivalente di sempre, secondo me).
Non fummo più uguali, dopo.
Ma Suzuka significa anche altri brandelli di suggestione.
La doppia collisione Senna/Prost. Il 1989 e il 1990. Rammento l’effetto che mi facevano le pallide albe asiatiche, quel sole che sembra essere diverso dalla luce europea. I taxisti che allora non biascicavano una parola in inglese e per farmi portare in aeroporto dovetti scendere dalla macchina e mettermi a mimare con le braccia il volo.
The Eagle has landed.
E ancora il 1998. La Rossa di Michele che non si muove dalla griglia. L’entusiasmo che si trasforma in depressione. Il sushi alla sera. Un compagno di cena, uno che in Ferrari oggi conta tantissimo, che ordina due sake e mi fa: dai, prima o poi ce la faremo e vedrai che non sarà per una volta sola. Ma poi nel 1999 perdemmo ancora, con il mio amico Irvine, però prendemmo il titolo dei costruttori e Schumi rideva come un liceale neo diplomato, non avrebbe sopportato un miracolo di Eddie e infatti non lo supportò, all’ultimo atto. Ma ho già raccontato pure questa, più e più volte.
Poi il 2003. Il sorpasso su Fangio. Barrichello che vince la corsa e salva la baracca in una domenica che doveva essere facile e invece si era improvvisamente trasformata in un micidiale sudoku, difficilissimo da risolvere.
Infine, un filo di fumo. Come in un romanzo di Camilleri, il papà di Montalbano.
Era il 2006.
La Ferrari non rompeva un motore da una vita.
Con tutto il rispetto per Fernando, quella domenica non doveva finire così.
Un filo di fumo.
Schumi8 che finisce a donne di facili costumi.
Una lama di luce (ancora Camilleri).
Una luce fredda.
Il pensiero brusco.
Non la avremo più, noi tutti insieme, da Michele a Todt a giù giù fino al meccanico più umile e a me medesimo, ultimo piolo della scaletta, una occasione del genere.
E’ stato un errore non smettere, tutti insieme, quella domenica là.