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Libia un anno dopo, le faide non si fermano. L’uccisione del Colonnello resta un giallo. E a Bani Walid i vecchi fedelissimi lottano ancora nel suo nome.

UNA MACCHINA del tempo impazzita sembra avere riportato la Libia indietro di
 un anno. Esattamente dodici mesi fa Gheddafi fu ucciso mentre lo trasportavano in ambulanza da Sirte a Misurata. Ieri Bani Walid, 170 chilometri a sud di Tripoli e roccaforte degli irriducibili seguaci del Colonnello assieme a Sirte, era di nuovo circondata da rivoluzionari in armi, i tuwar. 
 
 GLI UOMINI di Misurata, la brigata Scudo Libico, hanno preso posizione sulle
 colline e sostengono di essere pronti all’assalto finale. Martedì avevano ricevuto l’ordine di procedere per arrestare gli autori del sequestro e  delle torture che hanno portato alla morte dell’ex soldato della brigata misuratina ar-Riran Omran Shaaban, un combattente che partecipò alla cattura di Gheddafi a Sirte. Ma poi il presidente del parlamento, Mohammed Magarief,
 ha deciso un rinvio di 48 ore per evitare un bagno di sangue e per consentire l’evacuazione dei civili. Purtroppo i civili, fieri uomini della tribù Warfalla, non avrebbero nessunissima voglia di andarsene, se si deve  credere ad Abdulsalam Alfukahi, membro della squadra di cittadini di Bani
 Walid che dovrebbe cercare una soluzione indolore. Come al solito si contano
 già i morti. Fra mercoledì, giovedì e ieri hanno perso la vita 8 soldati della Scudo libico e 14 civili.
 UN ANNO fa, per la precisione il 17 ottobre, Bani Walid era stata dichiarata
 «libera». Ora la sua televisione «Dardari», «Dardanelli», trasmette immagini di parenti che chiedono notizie dei loro congiunti dei quali si sono perse le tracce. L’emittente di Misurata controbatte con riprese di feriti  nell’assalto al ridotto gheddafista.  Il potere dello stato centrale è una pura teoria.

Seif al-Islam, il  secondogenito ed ex delfino di Gheddafi, è ancora detenuto a Zintan dai miliziani berberi che il 19 novembre dell’anno scorso avevano promesso di consegnarlo «subito» a Tripoli. «Primato della legge o primato delle  milizie?» si chiedeva Amnesty International nel suo ultimo rapporto. «Tutte le parti – argomentava – ricorrono regolarmente ad arresti arbitrari e a torture e fomentano ulteriormente la divisione del Paese lungo linee regionali, tribali ed etniche». Le autorità libiche hanno descritto Ahmed Abu Khattala, leader della milizia salafita Ansar al-Islam, come uno dei responsabili dell’assalto al consolato statunitense di Bengasi nel quale sono caduti l’ambasciatore a Tripoli Chris Stevens e altri tre americani. Il  giorno dopo l’interessato si è presentato ai giornalisti in un grande albergo di Bengasi e, sorseggiando un frappè, ha smentito le accuse su tutta la linea.
 
 IN QUESTO contesto kafkiano le uniche novità positive profumano tutte di
 petrolio. Dall’ottobre 2011 la produzione supera il livello raggiunto prima della guerra, 1,4 milioni di barili al giorno, con punte di 1,6 milioni. Il ministro competente, Abdelrahman ben Yeza, elenca soddisfatto le compagnie che hanno reso possibile la resurrezione dell’industria estrattiva. Sono Eni, Total, Repsol, Wintershall e Occidental. Il pil crescerà nel 2012 del 12,2 pèr cento e del 16,7 nel 2013. «Pecunia non olet», il denaro non ha odore. C’è solo da sperare che faciliti la pacificazione e la rinascita di un Paese a pezzi.