Sant’Anna di Stazzema. Un nome, vi scongiuro, a quel bambino
Il verdetto della Procura di Stoccarda sulla strage di Sant’Anna di Stazzema ci lascia sgomenti. Mentre in Grecia il movimento neonazista guadagna adepti e anche in altre parti di Europa si assiste all’insorgenza di fenomeni nazionalisti, i giudici tedeschi sembrano negare l’evidenza della tragedia, come se essa non avesse il volto di 560 persone, tra cui cento bambini. Dai 17 delle SS ancora in vita che parteciparono a quell’eccidio, non giustificabile da nessun alibi di ordini superiori, non si sarebbe riusciti a sapere nulla per assenza di prove documentali. E dov’erano quei 17 quando veniva uccisa gente inerme, tra cui piccoli di cui sappiamo il nome e il cognome? Tutti insieme non ricordano nulla? Il silenzio dei nazisti appartenenti all’unità che compì il massacro è la prova dell’associazione a quella strage. La Procura tedesca ha chiuso gli occhi anche di fronte al lavoro della magistratura italiana e alle testimonianze dei sopravvissuti e con il verdetto aiuta, magari involontariamente ma efficacemente, l’idea che si può uccidere o stare in silenzio e farsi dimenticare. Tanti testimoni di Sant’Anna negli anni hanno fatto del dolore subìto la forza per una testimonianza disarmata a favore della pace e dell’educazione delle giovani generazioni. Possiamo stringerci a loro assicurando che non dimenticheremo quei 560 nomi e i nomi di chi li ha custoditi nel ricordo e nell’amore, cercando soddisfazione non al risentimento ma perquella giustizia che cambia nel profondo le cose e le persone, garantendo futuro a tutti. Anche la memoria garantisce futuro. Vorremmo dare un nome a quel bambino la cui corsa è stata raccontata da Ludwig Goring, tornitore di casse d’orologio in pensione e che partecipò all’eccidio, come mitragliatore. Ha trovato la forza di raccontare dopo aver passato una vita intera a nascondere la memoria, anche a sua moglie, a cui ha dovuto raccontare la verità pochi anni fa, quando è stato raggiunto dal capo di imputazione. Questo ha raccontato – la testimonianza è stata ritrovata da ‘La Stampa’ – perché “non ce la facevo più” e rivedeva continuamente dentro di sé questa scena: “Verso la parte terminale del pianoro, dove ricominciava la salita, vi erano due case. Si trattava di case piuttosto piccole, erano rivestite in muratura, ma avevano un aspetto misero. Di fronte a queste case, sedevano in cerchio circa 25 donne”. Goring posizionò la mitragliarice: “ Dopo l’ordine di fare fuoco, sparai sulle donne. Durò pochissimo. Tre uomini cosparsero di benzina i cadaveri e vi appiccarono il fuoco. Improvvisamente vidi che dalla catasta in fiamme si levava correndo un bambino, un ragazzo di circa 10-11 anni, che si allontanò subito di corsa, scomparendo dietro la scarpata che distava circa tre metri. Non avevo visto prima il bimbo. Neanche mentre sparavo avevo notato che vi fosse un bambino con le donne”. Qualcuno è in grado di dare un nome a quel bambino? Speriamo che almeno lui ce l’abbia fatta, che la sua voce, oggi, di anziano, ci dia il sollievo della sua salvezza.
Michele Brancale
Le altre parole di Ludwig Goring:
“Devo parlare, non importa cosa accadrà… Ora voglio dire la verità. In quello spiazzo si trovava una sola mitragliatrice, azionata da me e dall’artigliere addetto alle munizioni… Ero consapevole che una simile fucilazione era proibita. Ma non avevo scelta: un ordine è un ordine. Tutti spararono. Io svuotai un’intera cartucciera, che non fu ricaricata. Altri soldati spararono con il mitra… Erano solo donne, donne di ogni età, ma non le osservai in modo dettagliato… Mentre ci allontanavamo, i cadaveri stavano ancora bruciando… Non riesco a liberarmene”