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Stavolta è diverso

Non è la prima volta che Silvio Berlusconi viene condannato in primo grado, è la quarta. Ma stavolta è diverso. E non tanto per l’esorbitanza della sentenza (quattro anni di carcere, 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, 10 milioni di risarcimento all’Agenzia delle Entrate), per la debolezza delle prove a carico o perché il pm aveva chiesto una pena inferiore a quella poi comminata. Dettagli, ormai. Di diverso, nella condanna dell’ex premier per frode fiscale al processo sui diritti tv Mediaset, c’è il contesto politico e lo spirito dell’Uomo. In altri tempi, il Cavaliere avrebbe attinto dalla malaparata giudiziaria nuova linfa politica: ancor prima di pensare a ricorrere in appello, avrebbe rilanciato nel Paese. Stavolta no. Anzi, raccontano che tra le ragioni che mercoledì l’hanno spinto ad ufficializzare la propria rinuncia a candidarsi premier vi fosse anche questa. Nel quadro del noto conflitto con la procura milanese, Berlusconi dava infatti per scontata la condanna. Così come si attende analoga sorte al processo Ruby. Eppure, ha scelto di fare un passo indietro. E’ per questo che chi oggi vorrebbe che ne facesse due in avanti resterà deluso. Se la sentenza di ieri avrà dunque un effetto politico, sarà quello di consolidare il percorso avviato nel Pdl. Non un precipitoso ritorno in scena del Cavaliere vendicatore, ma un ulteriore puntello alla pur non travolgente leadership di Angelino Alfano. Perché l’eventuale sconfitta in Sicilia potrà essere ricondotta al clima politico conseguente l’affondo milanese e perché lo stato d’assedio giudiziario conterrà le faide interne consentendo alle primarie del Pdl di svolgersi senza spargimenti di sangue. Dopo di che, naturalmente, nulla sarà risolto. E buona parte di quella maggioranza sociale orientata a votare centrodestra sarà ancora in cerca di rappresentanza. La crisi del Pdl dovrebbe invogliare nuovi soggetti ad occuparne gli spazi politici, ma al netto di molte ambizioni e moltissime gelosie non si vedono iniziative all’altezza. Può essere che il grembo degli dei partorisca domani quel che oggi è oscuro — è già accaduto nel ’94, in fondo — ma pare azzardato scommetterci. Occorrerà del tempo, probabilmente. E col tempo si capirà che i mali del Paese sono strutturali e non dipendono dal solo Berlusconi. La giustizia è uno di questi. E non solo perché il governo Berlusconi ha cominciato a cadere il giorno in cui fu bocciato il lodo Alfano e la sentenza di ieri ha chiuso il cerchio aperto allora. Il fatto è che il capo del governo italiano è debole e costantemente alla mercè di altri poteri. A partire dal Quirinale. Se i partiti avessero un minimo di lungimiranza, si accorderebbero per far eleggere una Costituente che in anno proponga una grande riforma per mettere le istituzioni italiane in grado di competere alla pari in Europa e nel mondo. Ma non accadrà. E quel che è peggio è che non si potrà più dare la colpa a Silvio Berlusconi.