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L’amore non dovrebbe essere un diritto?

“Era il 12 febbraio quando è successo. Mi ha portato a casa sua e ha cominciato a toccarmi. ho cercato di scappare, ma ha chiuso la porta dietro di sé”. Tala si interrompe nel racconto. Sa che il resto della storia lo conosco. Non c’è bisogno di dire altro. I suoi occhi fissano la parete alle mie spalle. Le sue mani sono unite, strette fra le ginocchia. Un timido tentativo di proteggersi, di nascondere il disagio che sta provando nel parlare di qualcosa che le sembrava orribile, ma che non aveva il coraggio di raccontare, perché non aveva neanche l’esatta percezione di quello che le era accaduto. Gli occhi di Tala sono di un nocciola intenso, mi guardano ma non possono vedermi. È cieca dalla nascita, circondata soltanto da ombre. Il suo viso sembra scolpito d’ambra, levigato da un abile tornitore e incorniciato da un velo marrone, con dei piccoli disegni geometrici neri. Lascia soltanto intravedere i capelli nerissimi, lucidi, raccolti in una lunga treccia, come usa fare la maggior parte delle donne indiane. Il suo corpo sembra quello di una ragazzina, minuto ed esile. Ai polsi porta braccialetti con campanelline che suonano a ogni movimento. Le dita dei piedi sono ornate da piccoli anelli argentati.
Mentre la osservo, al riparo dal suo sguardo vuoto, ripenso a quella data. 12 febbraio. Il giorno del mio compleanno. E immagino le nostre vite, così immensamente distanti. Mentre io festeggiavo, lei veniva stuprata in una baracca di uno slum di Calcutta, da un uomo che ha abusato di lei come donna e come disabile. Non ha approfittato soltanto del fatto che già essere nata donna e soprattutto fra i poveri delle baraccopoli, la relegava all’ultimo posto della società. Ha fatto leva sulla sua solitudine, sulla sua emarginazione come disabile, insultata e additata come portatrice di malocchio, in una società che basa la sua stessa esistenza sulle regole millenarie di una religione che spiega che la vita che viviamo non è che la via per espiare le colpe di quelle precedenti. Quell’uomo le aveva sussurrato parole dolci, le aveva promesso una vita insieme, suggellata dal matrimonio. Ma poi l’ha violentata, scomparendo subito dopo, senza lasciare traccia. Ha approfittato del suo bisogno d’amore, il bisogno comune a tutti gli esseri viventi, ma che a persone come Tala è stato negato per nascita.
“Solo adesso si è resa conto di quello che è accaduto – mi racconta Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea Onlus, che 5 anni fa ha iniziato un progetto per aiutare le donne con disabilità, nella capitale del West Bengala – Quando l’abbiamo incontrata e convinta a seguire le nostre riunioni, non capiva perché volessimo portarla dalla polizia per denunciare quell’uomo”. Anche adesso è la vergogna il sentimento che prevale. La vergogna e la paura delle ritorsioni su di sé e sulla sua famiglia. “In India viene commesso uno stupro ogni 20 minuti – mi spiega Simona – Ma solo una bassissima percentuale viene denunciata. C’è ancora tanta strada da fare, per riuscire a far capire alle persone che la tutela delle donne non significa solo garantire i loro diritti, ma quelli di tutti gli esseri umani”. Tala oggi ha trovato l’amore: quello delle altre donne che come lei vivono il calvario di essere nate disabili. Mi sorride e unisce le mani in preghiera, alla maniera tradizionale indiana. Contraccambio e la guardo allontanarsi con il suo avanzare elegante, accompagnato dai colori sgargianti del sari, che sembra danzare a ogni passo. Ripenso a quella data: il 12 febbraio. Quest’anno saprò cosa desiderare quando spegnerò le candeline: un po’ d’amore per tutti, ovunque si trovino.
www.pangeaonlus.org

Foto di Ugo Panella

Foto di Ugo Panella

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