I due registri di Mario Monti
Difficile dire quale tra le due prove d’amore chieste da Mario Monti ai suoi principali competitor appaia oggi più irrealistica: se il divorzio del Pd dalla Cgil o quello del Pdl da Berlusconi. Temi concreti, ma agitati con spirito elettoralistico non propriamente equanime. Sul Pdl, infatti, l’offensiva è frontale, sul Pd laterale. Chiedere ad Alfano e soci di liberarsi del Cavaliere, a Monti serve per denunciare i limiti del berlusconismo, caldeggiare una speranza futura e non rimanere schiacciato a sinistra nel presente. Ben altro spartito è riservato a Bersani. Anziché attaccare il segretario del Pd imputandogli di non avere la forza politica per affrancarsi dal sindacato, Monti attacca il sindacato. Ma la Cgil fa solo il proprio mestiere, che consiste nel tutelare i propri tesserati. E’ Bersani che, a maggior ragione in epoca di conflitti sociali, non ha alcuna intenzione di smarcarsi. Ma questo Monti non lo dice, offrendo così a chi osserva l’ennesimo indizio di un’intesa post-elettorale. A fronte della singolare ritrosia di Berlusconi sul tema, il premier uscente – che da qualche giorno ha rioccupato il centro della scena – affronta invece in chiave politica la vicenda Monte dei paschi. Ma lo fa senza infierire e limitandosi all’ovvio. Più che assestare un colpo al Pd, Monti sembra volersi liberare della nomea di «uomo delle banche». Più che contro Bersani, dunque, parla a favore di se stesso.