Il Libano di Anna
Era il 31 dicembre del 2007, quando, facendo un consuntivo dei miei giorni nella terra dei cedri, dedicavo le mie emozioni ed i miei pensieri a chi da sempre è stato e, per sempre resterà, il mio interlocutore preferito : mio padre, e così scrivevo:“Un altro anno è terminato tra ricordi incantevoli da conservare ed altri da metter via. Non avrei potuto chiedere di meglio alla vita, per concludere un anno così intenso, se non trascorrere qui, in Libano, questo momento. Ti sembrerà paradossale, eppure star qui mi fa sentire incredibilmente bene. In questo paese, che mi affascina e mi rapisce, tra questa gente che lotta per cercare di ricominciare con un’ identità nuova e più forte, tra gli occhi, pieni di speranza, di bimbi che imparano, giorno per giorno, a sorridere di nuovo e donne che ascoltano quello che ho da dir loro con il volto rapito di chi segue un film affascinante e lontano dalla loro realtà mi sento viva, tremendamente viva e fortunata.
Mi emoziono quando mi ritrovo seduta su un tappeto, nel mezzo di una casa bombardata, a sorseggiare te’ con donne che, sentendomi vicina, tolgono i veli, sciolgono i capelli, mettono via le lunghe tuniche e si scoprono ragazze come me, ci scopriamo donne tra donne, con la stessa voglia di amare di ridere di scherzare e mi perdo nei loro sorrisi velati da tristezza latente. C’è chi muore qui, ancora per postumi di guerre infinite, per l’insidia di mine e cluster bomb, per quel “sonno della ragione” che, come diceva Goya, “genera mostri”.
C’è dolore e rassegnazione, ma tanta voglia di cambiare, di chiudere un passato tragico e guardare avanti. C’è amicizia, ospitalità ma ancora tanta paura. Vorrei essere all’altezza di tutto, vorrei non stancarmi mai di donare sorrisi, vorrei non dover valutare quale strada poter percorrere: mi piacerebbe non aver limiti in questo paese incantevole. Vorrei avere risposte per le donne e i bambini che sembrano chiedersi il perchè delle guerre che hanno lacerato la loro terra, ma non ne ho.
Qui è tutto un tripudio unico di etnie, confessioni religiose e culture ed io ho imparato a rispettare il loro modo di vivere, così lontano dal nostro ma per me già così familiare. Mangio seduta per terra con le gambe incrociate quando sono ospite in casa di adorabili famiglie che non smettono di dirmi che “Dio è grande e benedice me e la mia famiglia per quello che sto facendo per loro”. Bevo tè mangiando uno spettacolare formaggio di capra e il pane che le donne tagliano con le mani e posano sui tappeti. Scambiarsi pane e sale, dicono i libanesi, significa diventare fratelli ed io accetto volentieri i loro inviti che percepisco essere formulati con il cuore. Prendo tra le braccia bimbi che mani di giovani mamme mi porgono e sono felice nel vedere che hanno imparato che non tutte le persone armate e in uniforme son qui per sparare contro le loro case.
I tramonti qui tolgono il respiro; il cielo si trasforma in un quadro di un abile impressionista, le tonalità si confondono ed assumono sfumature mai viste prima, tutto è intenso, i colori, i sapori. Gli odori, forti e decisi, riempiono i sensi.
Io sto vivendo in libano, non sto facendo semplicemente una missione.”
Così concludevo questo mio monologo per mio padre e questo sento di aver fatto in quei 242 giorni di operazione da comandante di plotone: di aver vissuto in libano, attraversandone villaggi, studiandone la storia, apprezzandone cultura e tradizioni. Ora che questa terra mi accoglie di nuovo, e il suo calore quasi soffocante mi avvolge e mi stordisce, sembra di non essere mai andata via da qui, sento sempre di vivere in un ambiente familiare. Mi muovo con la discrezione di chi sa di essere solo un ospite, ma questa sensazione mi sta stretta, ogni angolo del Sud del Libano è collegato ad un mio ricordo vivido, associo colori, sapori e rumori a immagini del passato e mi rendo conto che non posso sentirmi ospite, non in questa Terra.
Tanto è cambiato qui. I ricordi della guerra sono ormai lontani. La vita nei piccoli villaggi ha ripreso il suo naturale corso. Ma il fascino di questa terra resta immutato, Terra di cui Gibran diceva “ voi avete il vostro libano e i suoi dilemmi, io ho il mio libano con la sua bellezza. Il mio libano è un uomo solo, la testa appoggiata sul braccio che si rilassa all’ombra del cedro, dimentico di tutto tranne che di dio e della luce del sole”.
di Anna Polico