Gli angeli nell’Italia quotidiana di Salvatores
‘L’Italia in un giorno’ di Gabriele Salvatores ha colto con ironia e ampiezza i tratti del nostro essere Paese puntando molto – e gliene siamo grati – allo sguardo dei bambini, a quel loro essere futuro. Lo stesso sguardo che ritroviamo, più smarrito, negli adolescenti e nei ventenni sospesi a consapevolezze di precariato. Si potrebbe prendere questo o quell’aspetto, quello più gradito e anche quello che meno piace, del mosaico di video ricevuti e che il regista ha assemblato con sensibilità corale e umanista. Chi scrive è rimasto colpito, in particolare, da un colloquio tra un figlio adulto e una madre molto anziana, che non ha perso l’innocenza di uno sguardo pulito e materno e al tempo stesso bambino. Merito anche di quel figlio che insieme ai suoi fratelli la custodisce e la ritrae nel video girato sulla terrazza di casa.
La madre non ricorda i nomi dei figli e non ricorda nemmeno che è suo quello che le sta accanto, Gabriele. Quel figlio – citiamo a memoria – le ricorda i nomi di tutti e quattro.
“E tu come ti chiami?”, chiede lei.
“Gabriele”.
“Ti sei dato un bel nome. Il nome di un angelo”.
“Non me lo sono dato io, mamma, me lo hai dato tu”.
“… Sei tu che stai diventando un angelo”.
Quella madre vive restituita completamente all’affetto dei figli e a una fede profonda. Il messaggio che viene da quella voce disarmata a apparentemente confusa è essenziale e carico di speranza, mentre si discetta ad altre latitudini di lasciarsi togliere la vita e, altrove ancora, la vita esplode a motivo di quelli che Papa Francesco ha chiamato i pianificatori del terrore (terroristi e produttori-trafficanti d’armi). Da una donna confusa scaturisce la possibilità di diventare angeli, latori di affetto e di buone notizie. Che angelo quell’anziana. Un po’ come i figli.