(A) quarant’anni da Nick Drake
Succede tutto in quegli anni lì. I Nirvana e gli Smashing Pumpkins servono ormai solo per pogare. Fine Novanta i Radiohead hanno ridisegnato le traiettorie del rock, anticipando che si può fare musica per struggersi anche senza chitarre. Ok Computer, ma la chitarra no, non toglieteci la chitarra. Gli effetti e le pedaliere le lasciamo ai Sonic Youth che sono ancora felici e contenti. Sono ancora una famiglia. La chitarra, allora, meglio se classica. Acustica. Il nuovo movimento acustico è ancora al di là dal nascere. Ma in poche settimane c’è un riferimento ricorrente: Nick Drake. Lui, Nick Drake, se ne è andato il 25 novembre del 1974. Non rientra nemmeno nel club dei maledetti 27, perché lui di anni ne aveva 26. Chi sia questo Nick Drake, chitarra e voce e ancora voce e chitarra qualche arco pronto a stenderti nel chiuso della tua cameretta postadolescenziale dove i sogni di mettere su un gruppo vengono bypassati dall’idea di raccontare un presente in cui sopravvivere un po’ da “loser” (come cantava il Beck, il signor Hansen, per non fare confusione); lo racconta un libro di Stefano Pistolini, 1998, che nel liceo d’appartenenza (Senigallia, per l’esattezza), comincia a fare la sua comparsa tra mani avide di letture e sapienti di chitarra, ma anche orecchie attente a capire l’aria che tira. E l’aria che tira è quella di “rispolverare” giustamente e meritatamente questo genio dimenticato, ossessionato dal successo che non sarebbe mai arrivato in vita. Sembra di leggere, senza troppe implicazioni e perfino un po’ troppo superficialmente, il destino cui andrà incontro qualche anno dopo Elliott Smith che sarà poi, in qualche maniera, la sua definitiva consacrazione. Perché nei famigerati anni Zero tutti (o quasi) che raccontano in musica struggimenti vari (amorosi e non) diranno di essere stati influenzati da Elliott e quella “Miss Misery”, versione Oscar, anno del Signore 1997, rimane negli occhi. E infatti in quegli anni tutti ad adorare Nick. Arriva perfino in tv. Strano scherzo del destino che una sua canzone (“Pink Moon”) venga scelta per uno spot di una macchina (anno 2000). Ma poi ci pensa Wes Anderson a cristalizzare un anno dopo, con la colonna sonora de “I Tenembaum”, il mito di Drake. Basta ascoltare “Fly”. “Please give me second grace”. Dammi la seconda grazia. Molti anni dopo è arrivata. E non è più svanita. E c’è sempre bisogno, qualche mese dopo l’ultimo ascolto, dopo un’astinenza più o meno obbligata, tornare ad ascoltarlo. Come se fosse ancora lì. Anche se non l’abbiamo mai conosciuto.