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D’Avenia, un sorriso salverà il mondo

Mercoledì 26 novembrei (ore 18, teatro Duse di Bologna) Alessandro D’Avenia, insegnante e scrittore, presenta il suo ultimo libro ‘Ciò che inferno non è’ dedicato a don Pino Puglisi, ucciso nel 1993 a Palermo dalla mafia. Quella di Bologna è la prima e per ora unica presentazione in Emilia Romagna del volume di D’Avenia.
Intervista
D’Avenia, dopo il successo di ‘Bianca come il latte e rosso come il sangue’ e ‘Cose che nessuno sa’, entrambi legati a scuola e giovani, perché un libro sulla mafia e su don Puglisi?
«Perché stavo perdendo la speranza. Non volevo scriverlo, ma sono stato costretto».
In che senso?
«Ho vissuto i fatti in prima persona, nell’estate del 1993. Padre Puglisi era il professore di religione del mio liceo: all’inizio del quarto anno non è tornato in classe perché il 15 settembre gli hanno sparato. Avevo 16 anni, nella mia vita quel giorno è uno spartiacque»
Che vuole dire?
«Quel fatto mi aiutò a mettere a fuoco l’anima e la realtà. Decisi di diventare insegnante grazie al mio docente di lettere e grazie a don Pino. Il primo mi fece vedere il cosa, il secondo il come».
Cosa intende per ‘il come’?
«Il sacrificio di don Pino Puglisiper me non è la sua morte, ma il suo modo di vivere: ‘sacrum facere’ vuol dire rendere sacro. Lui riceveva come sacro, rendeva sacro,
rispettava il sacro che trovava in ogni cosa e persona e cercava di proteggerlo, farlo crescere, difenderlo. Lo faceva con i bambini e i ragazzi di un quartiere infernale».
L’educazione dei giovani, un tema che le sta tanto a cuore…
«Insegnare è servire le vite che hai di fronte, non controllarle. Oggi il potere si mostra come controllo o come paternalismo, invece il potere è servizio. Questo vale per la scuola, per la scrittura di un libro, per ogni gesto».
Diceva che è stato quasi costretto a scrivere questo libro…
«Sì, era come se don Pino mi pedinasse e mi ricordasse qualcosa».

Un flash su Don Puglisi.
«Il suo sorriso. Tranquillo, benché si scorgessero sotto gli occhi le borse della stanchezza e delle sconfitte. Quello stesso sorriso lo offrì al suo assassino che stava per sparargli: quel sorriso costrinse un criminale a rivedere tutta la sua vita, a pentirsi e convertirsi».
Che eroe è il suo Puglisi?
«Sono stanco della retorica antimafia, che ha fatto cattiva memoria ai Falcone, ai Borsellino e ai Puglisi. Li abbiamo spinti talmente in alto che non significano più nulla nel quotidiano».
Cioè?
«Falcone e Borsellino erano ottimi magistrati. Puglisi era un ottimo prete e insegnante. Era gente che faceva bene il proprio lavoro, come servizio. Gli eroi oggi sono quelli che lavorano così, ciascuno al suo livello, senza scorciatoie, raccomandazioni, furberie».
Non è facile…
«Ma la vita è fatta per essere spesa per ideali grandi. Lo vedo in classe: i ragazzi si ripiegano su se stessi se non offriamo loro un progetto di vita, qualcosa per cui valga la pena giocarsela. Si spengono per mancanza di testimoni. Insegnare e scrivere sono il mio modo di fare politica, nel senso dei Greci antichi: partecipare alla vita della polis ciascuno al suo livello, dando il meglio che si può in ciò che ci riesce di far bene ».
E allora così si può sperare?
« Sì, e allora così si può sperare».