La F1 e le sue ombre (cinesi)
Tranquilli, da domani riparliamo del presente (ne vale pure la pena, eh).
Ma quando ripenso a Shanghai 2006 mi viene un groppo alla gola.
L’ultimo trionfo di Schumi.
Mi viene anche, postuma, una sottile incazzatura: perchè quella domenica sera in Cina l’ottavo mondiale sembrava cosa fatta e invece c’era un motore nella stiva del cargo per Suzuka che già fumava, un po’ come la cassa dell’Arca nel primo Indiana Jones.
Del resto, quel finale di stagione rimase indelebile per tanti.
Anche Alonso, poche setimane dopo ad Interlagos, eh, mai avrebbe immaginato che nove anni dopo il suo albo d’oro sarebbe rimasto fermo lì.
E quando ripenso a Shanghai 2007 mi sovviene il respiro di un senso di giustizia che lentamente ma inesorabilmente cominciava ad alitare sulla Formula Uno.
Taluni forse conoscono il mio sentimento a proposito di Kimi Raikkonen.
Beh, si consolidò fortissimamente in quella giornata cinese. Perchè di sicuro io non ci credevo più, tanti non ci credevano più, ma lui ci credeva ancora.
E a volte, nella vita, la Giustizia, con la maiuscola, arriva.
Era come stare in un teatro di ombre cinesi.
Un’ombra cinese, già.
Come quella di un ragazzo che nel 2009 scarrozzava la sua monoposto nel cuore di un diluvio pestilenziale.
Credo di non aver mai preso tanta acqua in vita come quella volta lì.
Il 2009.
La prima vittoria della Red Bull nella storia della Formula Uno.
Con Vettel al volante, lui che sul bagnato già si era imposto a Monza, nel 2008.
Ero fradicio d’acqua e pensavo: ma dai, ne valeva la pena, oggi hai visto da vicino qualcosa di grande.
Come nel 2007.
Come nel 2006.
Chissà domenica 12 aprile 2015, cosa avrò da raccontare.