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Una valigia piena di speranze (clandestine)

Si può chiedere al mondo di fermarsi, a noi stessi di aprire gli occhi e vergognarci e, soprattutto, di prendere le parti di chi è povero? Le agenzie non ci dicono più nulla del bambino ivoriano Abou, trasportato in una valigia perché, grazie alla complicità pagata di una ragazza marocchina di 19 anni, varcasse la frontiera spagnola dell’enclave di Ceuta, in Marocco, e raggiungesse i genitori in Spagna.
Si può chiamare quel bambino “clandestino”? Abou è vivo e chiunque di noi – spero – avrebbe voluto abbracciarlo, fargli sentire l’affetto di un mondo che difende i piccoli e li chiama per nome. Guardando lui, veniva da ripensare a un altro piccolo sopravvissuto: Marwan, siriano, ritrovato in un deserto con una borsa più grande della metà di lui da alcuni operatori volontari mentre fuggiva dalla guerra che devasta quell’area del Medio Oriente.

La vita deve contare. Il profeta Amos ha scritto parole durissime e vere che, purtroppo, non appartengono al passato: “… Hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri; … Essi trasformano il diritto in veleno e gettano a terra la giustizia”. (Am 2,6-7; 5,7) Dietro Abou e la disperazione dei suoi genitori c’è un’altra terribile declinazione del traffico di vite umane. La “clandestinità” è un artificio giuridico che serve a fare aumentare la violenza e la mercificazione dei poveri e che non aiuta a farsi carico in modo intelligente e umano di un fenomeno epocale quale l’immigrazione. Mentre scriviamo non possiamo non pensare a quante altre vite sono in una valigia oltre che nelle stive dei barconi. Il Salmo 101 (102) canta che Dio “si volge alla preghiera del misero/ e non disprezza la sua supplica…. Il Signore si è affacciato dall’alto del suo santuario,/ dal cielo ha guardato la terra,/ per ascoltare il gemito del prigioniero,/ per liberare i condannati a morte…”.
Chiunque può volgersi alle preghiere dei piccoli Abou e accoglierne il gemito per dare futuro e vita alle loro speranze. Magari anche parlando con meno semplificazioni sulla vita degli altri.