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Erdogan nel mirino dei jihadisti

Mariano-Giustino

UN KAMIKAZE nel cuore di Istanbul a poche centinaia di metri dalla Moschea Blu. Uno schiaffo in faccia al Sultano Erdogan? «Mentre i due grossi attentati precedenti, quello di luglio a Suruc e quello del 10 ottobre ad Ankara – annota Mariano Giustino, fondatore e direttore della rivista Diritto e Libertà, da anni profondo conoscitore della Turchia – erano contro l’opposizione, in particolare quella filo curda, questo sembrerebbe un attentato contro il governo».

Qual è la sua lettura?

«Sulla matrice jihadista non c’è ombra di dubbio. Il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, non fa attentati kamikaze, usa di solito bombe azionate a distanza. Lo stesso discorso vale per il Dhkp/c, l’estrema sinistra rivoluzionaria, il gruppo che in febbraio ha ucciso un giudice a Istanbul. Davutoglu ha detto che l’attentatore è un siriano e che sarebbe entrato in Turchia come giornalista. Mentre pochi minuti fa l’agenzia indipendente Dogan ha lanciato la notizia che sarebbe un saudita. Si chiamerebbe Nabil Fadli».

Ci sono state azioni che possono aver provocato questa risposta.

«Il 10 gennaio la polizia antiterrorismo ha lanciato due operazioni simultanee su vasta scala. In 5 distretti di Istanbul ha arrestato 10 sospettati di appartenere allo Stato Islamico. Altri 23 sono finiti in cella nella provincia meridionale di Adana. Sedici erano stranieri che volevano andare a combattere per l’Isis in Siria. Sette reclutatori erano turchi. Pochi giorni fa il governo in un rapporto ha dichiarato che nell’ultimo anno sono stati fermati 35mila presunti militanti dello Stato Islamico. Dopo essersi accorta di avere al suo interno migliaia di jihadisti e centinaia di cellule, la Turchia avrebbe intensificato la lotta».

La maggior parte delle vittime dell’attentatore suicida è tedesca.

«Anche questo potrebbe non essere un caso. Da Incirlik l’8 gennaio hanno cominciato a decollare i 6 Tornado tedeschi. Poi c’è la retorica di Erdogan».

Retorica di che genere?

«Dopo l’attentato, ad Ankara ha tenuto un discorso alla assemblea annuale degli ambasciatori turchi. Ha attaccato i 1.128 intellettuali ed accademici che hanno firmato un appello perché si fermino i massacri nel sudest anatolico (l’area abitata dai curdi, ndr). Ha detto che i sottoscrittori sono ignoranti, perché i diritti umani non sono violati dallo stato, ma dai terroristi. Li ha definiti traditori. In Turchia è facile finire sotto processo, la legge sul terrorismo reprime anche i reati di opinione. Subito dopo lo Yok, il consiglio supremo dell’educazione, controllato da Erdogan, ha annunciato azioni legali contro alcuni firmatari del documento».

L’attentato può essere strumentalizzato dal capo dello stato turco?

«Può dargli un argomento in più da utilizzare contro l’opposizione. Paradossalmente l’attentato più che indebolirlo può rafforzarlo. Lui fa sempre leva sulle questioni identitarie legate al nazionalismo e alla religione in vista del suo obiettivo principale del momento».

La trasformazione della democrazia turca da parlamentare a presidenziale.

«Gli basterebbero altri tredici parlamentari per poter organizzare il referendum costituzionale».

Può farcela?

«Non è scontato. Tutti si sono dichiarati contro il sistema presidenziale. Il maggior partito di opposizione, il Chp kemalista, ha detto di recente che il governo dovrebbe attuare la carta europea sulle autonomie locali che la Turchia ha firmato nel 1991, ribaltando la sua posizione che nel 2004 era contraria. Su questo dovrebbe inserirsi la Ue invece di mercanteggiare con la Turchia sui migranti».