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Perché si continuano a pagare quelle tasse sulla benzina?

TRA le tante voci che pesano sul bilancio di tutti noi ce n’è una che proprio non riesco a capire, soprattutto in questi periodi di crisi: quella del prezzo dei carburanti. Un prezzo gonfiato da elevate tassazioni e dalle accise. Per intenderci: ogni volta che facciamo benzina continuiamo, nel 2016, a pagare il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935. Da allora sono passati 80 anni: direi che è giunta l’ora di smettere. Roberto

QUANTE VOLTE ci siamo chiesti perché la benzina è sempre più cara, constatando che il prezzo del petrolio continua a scendere? In realtà, come giustamente scrive il lettore, su quanto spendiamo al distributore pesano «tasse misteriose» che resistono da oltre 70 anni e che il nostro Paese continua a farci pagare. Associazioni di consumatori, persone comuni, politici si sono in passato battuti per l’abolizione delle obsolete accise che gravano sul prezzo finale. Senza successo, però. Il buon senso vorrebbe che al cessare della causa che determina una tassa, dovrebbe cessare la tassa stessa. In Italia invece non è così. Anzi, su queste accise che in sostanza sono tasse, viene applicata anche l’Iva, cioè una tassa sulla tassa. E così continuano a finanziare la guerra in Etiopia di 80 anni fa (1935), la crisi di Suez del 1956 e il disastro del Vajont di oltre mezzo secolo fa. Insomma, nel tempo le finalità di spesa originarie sono venute meno ma le imposte non sono mai state tolte. laura.fasano@ilgiorno.net