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“Comunista nel Pd”

NO, decisamente il presidente del Piemonte Sergio Chiamparino la calma non la perde. Si sa, è uno tosto («un comunista iscritto al Pd», sorride). Però…
«Però mi sento come nel 1994».
Scusi?
«Sì, quando mi presentai alle politiche e fui sconfitto da Alessandro Meluzzi (collegio Torino 7, perse per lo 0,4 per cento, ndr). Però, come dire, ho una caratteristica. Dallo scoramento e dall’amarezza mi riprendo presto».
E si rimette a combattere.
«Ah, ci potete giurare».
Ma la batosta che avete preso è più politica o organizzativa?
«Che domande. Come si fa a distinguere i due aspetti? Siamo alle solite: nasce prima l’uovo o la gallina?».
Passiamo ad altro. Troppa esposizione mediatica del presidente Renzi?
«No, non mi pare un aspetto decisivo. Diciamo che occorre allargare gli orizzonti. E il dato di fatto, difficilmente contestabile, è che in Europa e, più in generale, nel mondo occidentale soffia un vento di antipolitica, di conflitto con il potere davvero impressionante. Le classi medie si sono impoverite. In queste elezioni di medio termine gli elettori hanno mandato segnali che definire vigorosi è poco».
Allora che fare?
«Tanto per cominciare un’analisi approfondita. Parlo di ‘analisi’ non a caso. Non voglio inutili e dannose ricerche di capri espiatori. Evitiamo teatrini per favore».
Allora analizziamo.
«C’è uno scollamento tra noi e i nostri elettori davvero preoccupante. Un esempio personale: quando, nel 2014, fui eletto, presi il voto di un piemontese su due, all’incirca. Mica poco. Godevo, è chiaro, dell’effetto-traino delle famose Europee che videro il Pd arrivare al 41%. Ecco, dopo il voto di questo giugno si può serenamente dire che c’è stata una metamorfosi. Il Re Mida che tutto in oro trasforma non esiste più. O, quanto meno, si è decisamente ridotto il suo potere».
In così poco tempo?
«Per questo sono preoccupato. Per questo rispondo a tutti, siano cittadini o giornalisti o che altro. Ci metto la faccia. Non è che io sono un presidente del Piemonte che passa per caso da queste terre. Abbiamo perso a Torino, mi chiedo perché e cerco di fare autocritica».
Il Pd è un problema?
«Non proprio. So per certo che ora siamo percepiti come una macchina che gestisce faticosamente il potere. Non è una bella cosa, come dire».
Magari potevate non allearvi con Denis Verdini.
«Magari è stato uno di quei segnali che contribuiscono a quelle metamorfosi che portano Re Mida a essere una pura e semplice macchina di potere. Magari sono operazioni che sdoganano parole come ‘inciucio’ e ‘voltagabbana’ nella cittadinanza. Il che porta a reazioni di rabbia o disillusione coi risultati, pessimi, che vediamo».
Presidente, sta dicendo che siete autoreferenziali.
«Non in assoluto. Però un po’ sì. E non va bene. Non va assolutamente bene».
E lei come ha intenzione di muoversi?
«Cerco di capire, innanzitutto. Però, sia chiaro: io faccio il presidente della Regione Piemonte e questo è il mio perimetro».
Tutto qui?
«Non mi sembra poco».
Ma chi è di sinistra può iscriversi al Pd?
«E io che cosa sono? Ha forse dei dubbi?».