Sostiene Speranza
«GIOVEDÌ 23 ho promosso una riunione della sinistra riformista del Pd. Sia chiaro: non è una convention. Ma un momento di confronto».
Per fare che, scusi?
«Per parlare seriamente – afferma Roberto Speranza, leader della cosiddetta ‘minoranza interna’ del Pd – dello stato di salute del partito…».
… che non sta molto bene.
(sospiro) «Eh… no, decisamente no. Ma l’affermazione ‘sono stato facile profeta’ non appartiene al mio vocabolario. Non la sopporto. Eppure la botta è stata grossa».
Difetti organizzativi? Il presidente del Consiglio non può fare anche il leader?
«Questi sono concetti che ho espresso più volte. Però, mi… permetta. Capisco che la polemica di Palazzo possa essere più appetibile, ma penso serva partire sempre dalla vita reale delle persone».
E allora ci spieghi il suo ragionamento.
«Se non facciamo una lettura nazionale di questo brutto voto non andiamo lontano. La ragione di fondo è, concetto che sottolineo con la penna rossa, la distanza che passa tra il racconto del Palazzo e la percezione che ha la gente della propria esperienza concreta».
Vuol dire che c’è un distacco forte?
«Purtroppo. Spesso ragioniamo di raffinatissime tattiche politiciste e non ci accorgiamo che c’è un disagio, e uso un eufemismo, soprattutto trai giovani e nelle periferie. Inutile nascondersi: esiste un pezzo significativo di Italia reale immersa nella crisi, che non sa come uscirne. E che questo pezzo di Paese pensa di risolvere i suoi problemi con un voto di rottura. di cambiamento radicale. Ma anche di disperazione».
Già, e voi del Pd dove eravate?
«Infatti! Giovedì ci porremo proprio questo problema. Evidente, mi pare, che qualcosa di molto grosso non abbia funzionato».
Beh, se vi alleate con Denis Verdini chi è di sinistra scappa…
«Appunto. Non vorrei però banalizzare. Non si tratta solo di allearsi con Verdini, bensì di sviluppare politiche che la nostra gente non sempre ha capito».
Fuori gli esempi.
«Esempi concreti: la riforma della scuola fatta contro larga parte degli studenti e degli insegnanti. Il tetto sul contante incomprensibile per chi crede nella lotta all’evasione. Il rapporto privilegiato con gli ex forzisti non digerito perché non puoi sparare alzo zero per vent’anni e poi cambiare idea e allearti con chi quelle politiche, tanto detestate a parole, le ha fatte».
Insomma, c’è un problema di identità.
«Non mi pare di dire una cosa originalissima. Ma è così. L’identità del Pd si sta sbiadendo pericolosamente. Bisogna cambiar rotta».
I 5 Stelle volano. Il modello lepenista della Lega, no.
«Sicuro? Starei attento. Molto attento. Però parliamo di noi: a Bologna, come a Cagliari, come a Milano se raccontiamo una storia di unità del centrosinistra, convinciamo gli elettori, magari senza trionfare. Se invece andiamo avanti col partito della nazione perdiamo. Io credo che per l’Italia il Pd sia la più grande speranza. Ma oggi il Pd deve cambiare a partire dalla ricerca di una nuova sintonia con i ceti popolari. Dovremo, con tutte le forze, arrivare nelle periferie per capire il disagio».
Magari più scuole e meno architettura istituzionale.
«La riforma della scuola non l’ho votata. Per l’Italicum mi sono dimesso da capogruppo alla Camera. Oggi è il tempo di costruire un’alternativa. Non per uscire dal Pd, ma per renderlo più forte e più vicino ai problemi veri delle persone».