Springsteen, Jungleland e lo spirito di Clarence
E’ possibile provare un brivido anche in una calda notte d’estate di inizio luglio. Succede a San Siro, dove Bruce Springsteen torna per la sesta volta. A San Siro, il 21 giugno 1985, il Boss debuttò per la prima volta in Italia. Non l’ha mai dimenticato lui, non l’hanno mai dimenticato i suoi fan. Succede anche che, pur aver visto Springsteen dal vivo almeno una ventina di volte (tra San Siro e l’Olimpico di Torino, il PalaMalaguti di Casalecchio e il Forum di Assago, il Franchi di Firenze e persino il Prater di Vienna), non sono mai riuscito, almeno fino a stanotte, a catturare in diretta le magìe di Jungleland. Chi conosce la produzione di Springsteen non può restare immune dal fascino di una canzone che unisce la poesia e la delicatezza del pianoforte (il professore, al secolo Roy Bittan) alla potenza del sassofono. La E Street Band ha perso uno dei suoi leader, carismatici, scomparso nel giugno del 2011. Il posto di Clarence, quasi per magià, è stato preso dal nipote Jake. Timido, defilato, almeno fino a stanotte. Poi la magìa di Jungleland, poesia e potenza, tutto Springsteen in undici minuti con quell’assolo di sassofono che ti cattura, ti rapisce. Bene, in questa calda notte di inizio luglio, a Milano, quando Jake attacca il suo assolo, struggente, commovente, si alza il vento. Sì, un vento forte, come se zio Clarence avesse voluto mandarci un segno. Come se ci avesse voluto far capire che l’erede è definitivamente sbocciato. Che la nuova spalla ideale per il Boss è questo ragazzo dai capelli lunghi e ricci, dagli occhiali con una montatura pesante. Ma con una classe, con il sassofono tra le mani, che ne fanno davvero l’alter ego del compianto Clarence. E’ nata una stella, stanotte. Quel vento che si è alzato improvvisamente, quasi senza motivo, all’interno del catino di San Siro, ci ha fornito l’ultima prova.