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Il lusso del rancore

Intervenendo a Rimini al meeting dell’Amicizia di Comunione e Liberazione a un confronto sulle città, il sindaco di Firenze Dario Nardella ha usato parole efficaci su una dimensione che spesso sfugge: “Le città – ha aggiunto – non hanno né eserciti né missili, ma sono il punto di riferimento della gente e non possono permettersi il lusso del risentimento. Per questo bisogna rilanciare una diplomazia delle città e dei sindaci che non hanno i poteri dei capi di Stato ma che sono a contatto con la gente e possono portare avanti esperienze di dialogo e di convivenza concreta”. La gara solidale che durante questi ultimi giorni ha visto singoli, città, associazioni, fare propria la commozione per il sisma in Centro Italia è espressiva delle energie che sono un antidoto al risentimento e che portano ad essere l’uno accanto all’altro e non in competizione come premessa per essere gli uni contro gli altri. Possiamo scandagliare le espressioni del “lusso del risentimento”. Ci aiutano a riguardo Renè Girard e Alexander Schmemann che hanno indagato in profondità i profili violenti del desiderio del cuore umano. C’è una profonda connessione tra la dimensione interiore delle persone e quella corale della città; sono l’una in relazione con l’altra. Partiamo dalla prima dimensione. L’uomo autocentrato, che promuove se stesso desiderando sempre essere un altro, diventa una “passione inutile” (Schmemann), anche se “riesce” secondo i canoni del successo, soprattutto quelli imposti dalla pubblicità e dall’apparente “logica” dei consumi. “Passione inutile” e rancore possono viaggiare insieme tanto nel successo che nell’insuccesso. Sono un tarlo che buca l’anima e che, tra rabbia e volontà di potenza, non fa essere un “noi”. E’ un fiume che diventa un mare torbido e che può assumere tratti corali pericolosi e omicidi, come nel caso dei nazionalismi: a fronte di una frustrazione che non si annulla mai (Nietzsche la chiamava “il tormento dell’invano”), il rancoroso attribuisce a qualcuno la negazione delle proprie aspettative fino a individuare un capro espiatorio o individuale o sociale (Girard). Di fatto finisce per travolgere gli innocenti, coloro su cui può “finalmente” prevalere. Questa dimensione accompagna la vita quotidiana e personale di tutti molto più di quanto uno pensi, dalla famiglia (si arriva a considerare i propri cari come un impedimento) ai luoghi di lavoro (il collega come fastidio o potenziale nemico). Il rancoroso pensa infatti di essere sempre migliore degli altri, di avere più diritto, di essere dalla parte della ragione (confusa col proprio istinti). Gli altri non hanno giustificazioni, lui sì. Il rancore, o risentimento, è un agente distruttivo, finisce per interpretare i rapporti umani in modo funzionale, e dona un sorriso carico di diffidenza. Nei suoi “Luoghi comuni” il poeta italo-argentino Juan Rudolfo Wilcock aveva descritto molto bene questo processo interiore: “Forse l’anima è divina, ma non è indispensabile/ quanto il corpo in cui dimora e ch’è la sua cagione./ alla prima infanzia in poi questo corpo è la prigione/ dell’anima che fermenta come una massa malleabile/
per finalmente impietrirsi nelle forme più strane,/ dall’uccello melodico fino alle peggiori iguane;/ ma sempre scomodissima perché non riesce a uscire/ da un corpo inadeguato e sempre meno forte,/ il che provoca disordini difficili da guarire,/ le complicate nevrosi che accelerano la morte”. Ed eccoci alla seconda dimensione, quella corale. La somma dei rancori può avvelenare le città, quelle che si fanno centro di potere e quelle che, seguendo una variante del risentimento per cui “il rancore è memoria infetta” (Girard) guardano sempre indietro e, nel migliore dei casi, si sentono vocate ad essere solo un monumento. Si dissipano energie e non di rado lo si fa in modo distruttivo, come nel caso degli egoismi di società “avanzate” che si sono chiuse a riccio di fronte ai profughi e a migranti, quasi incolpandoli delle crisi economiche e di guerre che sono all’origine della migrazione per effetto dei modelli di sviluppo che ad esse sottostanno. Si finisce per attribuire a profughi e migranti la colpa di essere “scarti” (secondo l’acuta terminologia di Papa Francesco).

Il rancore ama l’autoinganno e l’ignoranza. All’incontro di Rimini Nardella  ha partecipato con l’ambasciatore Staffan De Mistura, inviato speciale del segretario generale Onu per la Siria, Mustafa Abdi Moncef Ben Moussa, direttore del Museo del Bardo (Tunisia), Gultan Kisanak, sindaco di Diyarbakir (Turchia) e Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa-Linosa. Introduceva il costituzionalista Andrea Simoncini. “La vera bomba da temere è l’ignoranza – ha rilevato proprio Ben Moussa – l’ignoranza della storia e del suo ruolo nella costruzione della personalità dell’uomo”. Alla base di ogni città c’è un fatto culturale e se oggi alcune città sono minacciate e ferite è perché la nostra civiltà è stata ‘fragilizzata’, allontanata da questa cultura, dando luogo a un pensiero già condannato nel XX secolo: l’estremismo”. Nel rancore l’uomo estremizza se stesso sopra gli altri.