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L’Italia e Castro

«NON affascinava solo i militanti della sinistra italiana. Macché. Era un’icona trasversale. Piaceva moltissimo anche ai giovani di destra. Ovvio: in coppia col Che…».
Massimo Cacciari, filosofo, già sindaco di Venezia e parlamentare. Non nasconde la sua passione politica, ma nemmeno una leggera irritazione.
«Per forza, basta leggere i giornali. Gente che giudica senza sapere che cosa dice o scrive».
Ma Fidel è stato un mito per la sinistra italiana o no?
«‘Mito’ è enfatico. Diciamo che ha avuto un ruolo importante per noi italiani».
Sì, ma quanto importante?
«Non sto qui a pesare i sentimenti politici. La sua figura, non separabile da quella di Guevara, ha avuto un peso notevole per lo meno su una generazione di italiani. Di tutte le latitudini politiche. Ieri come oggi Fidel e il Che non erano certo odiati anche da tanti giovani che militavano nella destra sociale. Rappresentavano comunque il tentativo di opporsi al più forte, c’è poco da discutere».
Tra i castristi italiani più importanti c’era Feltrinelli.
«Giangiacomo fu tra coloro che maggiormente propagandarono la rivoluzione cubana e non con slogan, ma con un sacco di pubblicazioni più o meno belle».
Il tutto mentre la sinistra di ispirazione dichiaratamente marxista inneggiava a Fidel.
«No. Io li ho vissuti quegli anni. La simpatia era pressoché diffusa. La sua politica veniva seguita in Italia e in Europa con attenzione. Ma dire che qualcuno voleva seguire il modello castrista è una scempiaggine degna dei tempi grami che stiamo vivendo. Mai c’è stata esaltazione del modello castrista. Anzi, c’erano alcuni filoni di sinistra che proprio non volevano avere niente a che fare con Fidel. Ciò detto, alcuni gruppuscoli di scarso peso cercavano la via italiana al castrismo. Con risultati modesti. Chi seguiva Fidel sapeva che era un modello non esportabile da noi».
Forse perché la sinistra italiana si rese subito conto che sarebbe stato un modello fallimentare?
«Che stupidaggine. Non può che esserci ammirazione, al netto degli sbagli, per chi ha resistito».
Resistito a che cosa?
«A un gigante come gli Stati Uniti che regalarono Castro all’Unione sovietica. Mi ricordo benissimo quando vedemmo Castro che andò negli Stati Uniti subito dopo la cacciata del dittatore Fulgencio Batista. La prima cosa che sottolineò fu: ‘Io non sono comunista’. La cosa colpì moltissimo la sinistra italiana. Anche perché in non molti ricordano che la prima nazione a riconoscere la Cuba liberata fu proprio l’America…».
Molti intellettuali di sinistra hanno sostenuto Castro a prescindere dal suo fallimento in politica economica e la repressione.
«Falso. Pochi tifavano Fidel. Io evitavo, a parte le visite ufficiali, di andare a Cuba proprio per le politiche repressive».
E quando passò con l’Urss?
«Che cos’altro doveva fare? Ma capimmo, qui in Italia, che tutto era finito negli anni Settanta. O meglio ce lo fecero capire gli Stati Uniti. Antipasto la Baia dei porci. Poi Allende massacrato da Pinochet, la dittatura argentina…».
L’applicazione della dottrina di Monroe del 1823?
«Proprio così. Gli Usa mandarono un messaggio preciso. Non vi azzardate a entrare nel cortile di casa mia, se no son guai. Fidel e il Che ci provarono. Il secondo fu assassinato in Bolivia nel 1967. Il primo dovette, giocoforza, difendere il suo paese. La sinistra italiana capì che Cuba combatteva per la propria indipendenza. Ma era terribilmente lontana».