Elio e le Storie Tese ovvero del meglio del loro meglio
Ok, c’erano prima gli Skiantos. Ok, non hanno inventato il rock demenziale. E tutta una striscia infinita di ok. Ma è innegabile che Elio e le Storie Tese, nel giorno in cui annunciano il loro scioglimento proprio come quelle band che hanno dileggiato (basti pensare al loro spassoso pezzo sui due Litfiba), hanno segnato profondamente la scena rock (e dintorni) italiana. Innanzitutto perché sono dei musicisti con una tecnica impareggiabile e poi perché sono riusciti a sovvertire spesso e volentieri una lunga serie di cliché. A cominciare dal grande evento fino ai tour senza dimenticare le incursioni nel Regno della Canzonetta, Sanremo. La loro storia inizia molto prima di quel primo maggio 1991. Ma per l’ascoltatore italiano che aveva fame di musica diversa in quell’inizio di decennio, con l’incertezza su quanto potevano ancora dire i cantautori dopo le stagioni gloriose degli anni settanta e ottanta, loro rappresentano la risposta giusta. E il 1991 è l’inizio di quello che sarà il marchio di fabbrica di Elio e le Storie Tese. Che sarà coerente con tutto il percorso, Sanremo compreso. Certo, sembra ardito scomodare il situazionismo. Ma che cos’è in fondo il loro presentarsi sul palco del concertone del primo maggio, a piazza San Giovanni a Roma, e irridere non solo la società dello spettacolo che pianifica e ingloba anche la musica (scaletta e tempi di esibizione), suonando quell’inaspettata (per i tecnici Rai e capistruttura) “Sabbiature”? Una canzone improvvisata che è un pugno nello stomaco all’Italia consociativa che si puliva la coscienza, mandando in diretta il concerto rock del Primo Maggio. In quella “Sabbiature” prima di essere interrotti e censurati dalla Rai cantano “Ti amo Andreotti, ti amo Ciarrapico” e con loro tutti i protagonisti della Prima Repubblica il cui cuore (nero) non ha ancora smesso di battere. Qualcosa di simile, sempre in tema di Primo Maggio, faranno molti anni dopo nella loro seconda e ultima apparizione a Sanremo, giocando sul “Complesso del primo maggio” (questo il titolo della canzone), inteso non solo come band ma anche come afflato impegnato, perché quando si sale su quel palco ormai istituzionalizzato e che ha perso la sua vera aura, bisogna dimostrarsi (appunto) impegnati su questioni come lavoro, diritti etc etc. Anche se magari prima di quel fatidico giorno non ci si è mai interessati a nessuno dei temi in questione. Costruiscono l’altro pezzo sanremese (“Canzone mononota”) di quell’edizione su una sola nota, a dimostrazione dei tecnicismi di cui sopra. Ecco, pur senza cantare la depressione grunge degli anni ’90 la rabbia delle Posse, ma cantando spesso di sesso senza risparmiarsi in metafore, doppi sensi e testi diretti proprio nulla, rappresentano l’irriverenza. Quell’irriverenza che, tornando indietro a quel 1991, in molti andavano cercando, finita la stagione dei cantautori e dell’impegno politico, nel grunge dei Nirvana o nel cazzeggio libertario funky dei Red Hot Chili Peppers. E guarda caso, in quel 1991 escono due dischi epocali: “Nevermind” dei Nirvana e e “Blood Sugar Sex Magic” dei Red Hot Chili Peppers. Gli Elio e le Storie Tese riescono nell’impresa di sembrare “alternativi” (termine ormai vetusto e canone musicale buono solo per qualche flyer di club) anche quando attraversano con passo sicuro il mainstream (altro termine di per sé odioso nel rilanciare quella vecchia sfida tra l’essere indipendente e far parte del sistema). E così si concedono tutto e anche di più, con un sano gusto per il cazzeggio situazionista che sia Sanremo o che sia un programma sui canali televisivi istituzionali del Duopolio, Rai-Mediaset. Sui concerti s’inventano – quasi in contemporanea con quello che fanno in Germania gli Einsturzende Neubauten – il cosiddetto “cd brulè” che altro non è che presentarsi alla fine del concerto con una chiavetta usb e farsi riversare lì l’esibizione appena finita. Alla faccia dei bootleg. Ecco perché non può reggere – con tutto il rispetto per la “buona anima” di Freak Antoni – il paragone con gli Skiantos in quel calderone che troppo frettolosamente, sempre, e con una punta sbagliata di supponenza viene definito: rock demenziale. Agli Skiantos gli Elii devono il nome (quelle Storie Tese altro non è che una permutazione linguistica delle “Storie Pese” degli Skiantos) ma il debito di riconoscenza può finire pure qui. E in effetti i rapporti non sono mai stati così idilliaci. Diciamo, di buon vicinato. Ma è scorretto e limitante pensare che nel ragionare su che cosa gli Elio e le Storie Tese abbiano rappresentato ci si limiti a un paragone con le band che vennero prima di loro. La cifra stilistica – se questo termine può considerarsi adeguato – sta invece nella loro capacità di essere irriverenti con la società dello spettacolo che li ha accolti e di cui si nutrono. Niente di più che le tesi situazioniste: il sovvertire, molto spinoziano, dal di dentro. Ecco perché nel parlare di rock demenziale si finisce col banalizzare gli Elii e d’altra parte però nemmeno loro gradirebbero di essere pensati “così intelligenti, così raffinati, così alti”, pur non negando l’evidenza di sentirsi sì un po’ (e legittimamente) primi della classe. Che poi – se proprio vogliamo fare dei paragoni – il paragone più giusto (e non solo per la loro profonda venerazione) e più corretto è quello con Frank Zappa. Sempre troppo dimenticato anche lui, nonostante la sua carica irridente e corrosiva. Finisce una storia oggi, tutt’altro che Tesa, col dubbio legittimo (perché non si può mai sapere) che sia solo l’ennesima presa in giro a un passaggio perfino (quasi) obbligato delle band: quello di sciogliersi sì, in attesa delle reunion del futuro. Più che altro u’altra regola (non scritta ma ormai prassi) della società dello spettacolo. Ma gli Smiths li aspettano ancora tutti di rivederli insieme. Loro, gli Elii, potrebbero rimettersi insieme solo se li invocassero Ghigo e Piero dei Litfiba e cantassero: “Elii tornate insieme. Vi ricordate di quellepoca che fu?”. Sarebbe bellissimo.