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Tangentopoli: cosa resta a chi l’ha attraversata inconsapevolmente

Per una generazione che è stata solo sfiorata da Tangentopoli, fare i conti con un anniversario rischia di trasformarsi in una sterile rievocazione di date e nomi. Cosa resta nella memoria collettiva di chi quegli anni li ha attraversati con naturale inconsapevolezza? Qualche sfocata istantanea carpita dai telegiornali dell’epoca e poco più. Storie e personaggi che sono stati giudicati, condannati, riabilitati a seconda delle convenienze politiche in una pagina di vita politica nazionale che non si è ancora cicatrizzata, che non ha avuto il tempo di sedimentarsi. “Finta rivoluzione” o scheggia di storia dal “triste bilancio” finale? Certo è che risulta difficile fare i conti con uno spartiacque quando non si sono percepite e respirate le atmosfere di quei giorni in cui l’Italia iniziò a familiarizzare con un magistrato dalla faccia contadina, destinato a diventare ogni giorno più popolare.

In un certo senso è come se questa storia non ci appartenesse. Per molti quella resterà l’Italia delle monetine lanciate davanti al Raphael, istantanea feroce e indimenticabile di un Paese sulle barricate. Tangentopoli segna il momento in cui gli italiani hanno iniziato a mettere drammaticamente in discussione una classe politica che perdeva credibilità giorno dopo giorno, arresto dopo arresto. E forse proprio in quegli anni gli italiani hanno iniziato a sviluppare gli anticorpi a una politica che era stata in precedenza un solido rifugio.

Oggi stiamo meglio, si potrebbe pensare. Per lo meno siamo disincantati, quasi assuefatti a processi e corruzione (è fresco l’allarme della Corte dei Conti che ha parlato di “fenomeno dilagante”) e a veder sbattuto in prima pagina il nome del politico di turno. Ma è davvero meglio? E’ un po’ come chiedersi se è meglio amare ed essere traditi o aver maturato la convinzione che l’amore non esista e non provare nemmeno a innamorarsi.

Gli italiani sembrano da troppo tempo sospesi in un limbo di disillusioni. Chi è nato negli anni ’80 è cresciuto con un panorama dominato da un politico apolitico come Berlusconi, da una sinistra in perenne crisi d’identità, da un centro fisarmonica (nella variante vasta di centrodestra e centrosinistra passando al sottilissimo centro dei duri e puri), da una Lega dalle sembianze multiformi e da un’estrema sinistra relegata nell’Antartide della politica.

Forse anche per questo, a mio parere la generazione degli aspiranti trentenni non si riconosce nella politica: non ne è delusa, probabilmente non ci ha mai creduto. Si crede nei singoli, nell’idea. Una generazione che ha saputo rendere il web un vero e proprio spazio di catarsi: tutto finisce sotto la mannaia dell’etere. Il ministro parla di tunnel per i neutrini? Berlusconi ci introduce al mondo del Bunga Bunga? Pisapia è accusato di rubare auto? Tutto viene dissacrato a colpi di tweet e gruppi su Facebook. Ma questa generazione, in apparenza così sorniona e distaccata, ha in realtà una grande voglia di politica. Della politica vera: quella che ti fa indignare, che ti fa scendere in piazza, che ti fa mobilitare. Quella dalla quale, in fondo, ti puoi ancora aspettare qualcosa.