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Eurofantasmi, il costo di un collasso

Torniamo sull’ipotesi di una fine dell’euro. Partendo dai numeri e da una ricerca del settembre 2011 curata da Ubs sulle conseguenze del collasso della moneta unica. E’ un rapporto ben conosciuto e assai dibattuto in rete, ma credo valga la pena riproporlo.

I costi per un’economia “debole” — dice Ubs — dell’uscita dall’euro sono enormi. La svalutazione non sarebbe in grado di offrire supporto all’economia, e sarebbe accompagnata dal collasso del commercio con l’estero, crisi del settore industriale e del settore bancario, e default del debito sovrano. Il danno effettivo pro-capite sarebbe tra i 9.500 e gli 11.500 euro a cittadino per il primo anno, e tra i 3.000 e i 4.000 Euro negli anni seguenti. Solo nel primo anno, andrebbe “bruciato” tra il 40% e il 50% del PIL”.

I costi di uscita per un economia “forte”. Le conseguenze sarebbero il crollo del commercio internazionale, crisi del settore industriale e necessità di ri-capitalizzare il sistema bancario. In termini di costi, questo vorrebbe dire tra i 3.500 e 4.500 euro a cittadino, per un valore complessivo pari al 20-25% del PIL. Ai cittadini tedeschi costerebbe molto meno “salvare” Grecia, Irlanda e Portogallo, che costerebbe circa 1.000 euro a testa.

Le conseguenze politiche. I costi economici sarebbero la conseguenza meno grave: un’uscita dall’euro comporterebbe anche la perdita di influenza a livello internazionale. Sia a livello di PIL che a livello di popolazione, l’Europa nel suo complesso può rivendicare di rappresentare una parte rilevante “del mondo”, un singolo stato avrebbe molta meno voce in capitolo. Inoltre, gli analisti di UBS osservano che nei tempi moderni non è mai successo che le rotture di unioni monetarie non fossero collegate anche a regimi autoritari o a guerre civili.

Queste sono considerazioni di settembre 2011,  ma da allora non è cambiato granché.