E' questione di cuore 2014-09-29 15:14:36
Articolo pubblicato su QN (il Resto del Carlino, La Nazione e il Giorno) il 29 settembre 2014
Pd spaccato, Cgil e Fiom in assetto da guerra, ‘poteri forti’ sulle barricate. Il giorno decisivo per Matteo Renzi sarà oggi, quando alle 10,30 i sindacati si riuniranno per decidere una posizione comune contro il Jobs act, mentre alla 17 (in streaming) si terrà l’atteso muro contro muro in direzione Pd. Il leader dem salirà sul ring contro la minoranza che, da giorni, sventola la bandiera dell’articolo 18. La vecchia guardia capitanata da Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani (che oggi saranno presenti in direzione) sulla carta è in cerca di una mediazione. In pratica, affila le armi richiamando il premier a «evitare derive a destra». D’Alema, dalle colonne del Corsera, è durissimo: «Sul lavoro sbaglia. La vecchia guardia? Renzi parla solo con quella della parte avversa, Berlusconi e Verdini». Gli fa eco l’ex segretario Bersani, che stoppa qualasiasi aut aut: «Prendere o lasciare sull’articolo 18? Non esiste. No a ricette di destra sul lavoro». Parole di fuoco, certo. Ma guardando il parlamentino democratico che si riunirà oggi, la sinistra Pd rischia una Caporetto. Il fronte renziano può, infatti, contare su quasi il 70% dei delegati (in tutto 120: cento eletti al congresso, 20 scelti da Renzi) mentre le varie anime della sinistra Pd (bersaniani, cuperliani e civatiani) non arrivano al 30% (il capogruppo Roberto Speranza, poi, potrebbe sfilarsi). I giovani turchi, capitanati dal presidente Pd Matteo Orfini, pur criticando il Jobs act, spingono per un accordo vicino alla proposta Chiamparino: «Ci sono le condizioni, siamo d’accordo al 90%». In pratica, dettagliare meglio i casi di discriminazione nel quale il reintegro non verrebbe messo in discussione. Tra le ipotesi di sintesi, sposata dai bersaniani, l’ipotesi di allungare il periodo di prova per i neoassunti e, quindi, un contratto a tutele crescenti con l’opzione reintegro a partire dal sesto anno (proposta Boeri-Garibaldi).
RENZI fa orecchie da mercante e alla parola «reintegro» per i neoassunti chiude la porta: «La mediazione non è con la minoranza, ma coi lavoratori», ha detto ieri a Che tempo che fa. Ma se l’ipotesi «scissione» evocata da Civati due giorni fa ha già fatto il suo tempo, esclusa, ieri, dallo stesso Bersani («stia sereno, non c’è pericolo»), in caso di mancato accordo la spaccatura nel partito sarebbe inevitabile. Da qui, la battaglia interna potrebbe traslocare al Senato, quando da mercoledì s’inizierà a votare il Jobs act. A quel punto il governo potrebbe giocare l’extrema ratio della fiducia, «costringendo» i ribelli a votare il testo dell’esecutivo. Ma non è l’unico fronte aperto. Renzi si trova stretto dai sindacati con Cgil e Fiom pronti allo sciopero generale in caso il premier decidesse di fare la riforma del lavoro per decreto, come ieri ha chiesto Angelino Alfano. Certo, resta da vedere se Camusso riuscirà a compattare Cisl e Uil per la mobilitazione del 25 ottobre con la sua Cgil, ma il dato di fatto è che il gelo con Renzi rimane. «Ho provato a chiamarlo, ma rispondono sempre segretarie gentili. Dialoga, invece, con Confindustria…», lo punzecchia la leader Cgil. «I sindacati smettano di dare lezioni sull’articolo 18, visto che non lo applicano», replica il premier in tv. Ma Camusso annuncia battaglia: «Possiamo vincere. Non sarà una direzione Pd a decidere».