Sereni: “Il linguaggio di genere? Battaglia simbolica”
Intervista pubblicata il 6 marzo 2015 su QN (Carlino, Nazione e Giorno)
La vicepresidente della Camera, Marina Sereni, è più cauta rispetto a Matteo Renzi. Ma su Laura Boldrini ammette: «È legittimo che abbia opinioni politiche, anche se a volte non le condivido».
Lei ha detto che ‘la Boldrini sul decreto Rai ha usato un linguaggio non aderente al suo ruolo’. Insomma, troppo protagonismo?
«Non credo. Certo, sull’eccesso di decretazione del governo, la Costituzione prevede che sia il capo dello Stato a intervenire, non la presidente della Camera».
Ha ragione Renzi quando dice che ha «superato il suo perimetro istituzionale»?
«Il suo ruolo di garante la spinge a far sì che il lavoro del Parlamento venga ascoltato. E che venga tutelato il rapporto tra maggioranza e opposizione».
Crede che tra le priorità della terza carica dello Stato ci sia anche la battaglia sulla declinazione al femminile dei ruoli istituzionali ricoperti dalle donne?
«È una battaglia simbolica».
In Rete la lettera della Boldrini a deputati e deputate è stata molto criticata…
«Come diceva Nilde Iotti, se il Parlamento si fa superare dalla società diventa inutile».
Quindi la battaglia sul linguaggio di genere è fondamentale?
«Diciamo che di priorità ce ne sono parecchie…».
Tipo?
«In fatto di pari opportunità dobbiamo occuparci di conciliazione tra tempo di lavoro e maternità fino al divario di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici».
La Boldrini, però, si batte per essere chiamata «signora presidente» o «la presidente» e non presidente.
«Può apparire una questione marginale, ma non lo è. Se un deputato venisse chiamato ‘deputata’ o un ministro ‘ministra’ credo che non si riconoscerebbe».
Allora perché tante reazioni piccate alla lettera della presidente della Camera, anche da parte delle donne?
«Le donne, spesso, non sono amiche delle donne. E poi, purtroppo, di fronte a ruoli e professioni importanti come magistrati, medici, presidenti etc… c’è ancora l’errata convinzione che i nomi declinati al maschile siano più autorevoli. Peccato che, poi, se si guardano le statistiche le donne siano le più brave a scuola e vincano brillantemente i concorsi…».
Non crede, però, che la politica debba pensare a questioni sostanziali e non al ‘politically correct’?
«Certo, il lavoro femminile e l’abbandono del lavoro dopo la nascita del primo o del secondo figlio sono questioni dirimenti. Ma anche il linguaggio di genere ha la sua importanza. In Francia, ad esempio, un parlamentare che si è rifiutato di rivolgersi con l’espressione ‘signora presidente’ è stato sanzionato».
Arriveremo a questo anche in Italia?
«Modificare il regolamento è una prassi troppo complicata. La Boldrini, di fronte a un Parlamento con il 30% di donne, si è solo spesa per un giusto rinnovamento. Del resto, una donna presidente della Camera mancava dai tempi di Irene Pivetti…».
Rosalba Carbutti
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