Papi e papi
Sono stati giorni di addii. Ne unisco due perché mi fanno quasi lo stesso effetto. Il primo in ordine di tempo è arrivato da molto lontano, dagli Stati Uniti. Il secondo da Piacenza, molto più vicino. E partirei da questo perché riguarda una persona che ho conosciuto meglio, Samuele Papi. In realtà, quello di O’fenomeno non è ancora un ritiro ufficiale, anche se tra poco più di un mese le primavere dello schiacciatore marchigiano saranno 42. Sabato sera, dopo l’ultima partita con Piacenza, che non farà i playoff, ha detto che al 90% si ritira. Aveva spiegato le sue intenzioni già in gennaio al collega Mario Salvini, più di recente qui. Quel che penso di Papi è quello che a suo tempo ho scritto su questo stesso blog, qui, quindi non voglio dilungarmi troppo in lodi nuove. Mi limiterò a ribadirgli un grazie lungo più di vent’anni, perché la sua carriera non è solo la rivincita degli uomini normali, è anche un esempio di comportamento esemplare come uomo, prima ancora che come atleta.
Non so se a Samuele intitoleranno un palasport. Lo faranno per l’altro protagonista di questo post, il papi con la minuscola, diminutivo di papà. Perché si tratta di Arnie Ball, padre di Lloy e mito dell’università di Fort Wayne, nell’Indiana. Anche di Arnie ho già parlato qualche volta, qui e qui, quando già si sapeva che sarebbe andato in pensione quest’anno. Meglio di me l’ha fatto sicuramente Dan Vance, sul suo blog, con questo post molto accurato e accorato.
Credo che Arnie dovrebbe essere contento, oltre che per tutte le sue vittorie con la squadra di IPFW, e per i giocatori che ha contribuito ad allevare, e per i valori che ha saputo trasmettere al figlio Lloy, anche per le parole di Vance. Segnalo due frasi, in particolare: “Ball ha lasciato un segno in ogni persona con cui è entrato in contatto”, e, da giornalista, a me è piaciuta molto anche “Arnie mi ha insegnato ad essere un intervistatore migliore e mi ha sfidato a fare sempre un lavoro migliore”.
Grazie anche a te, Arnie.