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Non si critica Umberto Eco

Umberto Eco, 'Numero Zero' (2015, Bompiani)Il professore, stavolta, ha toppato. Ma come, Umberto Eco? Quello de Il nome della rosa? L’autore di bestseller intelligenti, il semiotico, il plurilaureato honoris causa in decine di paesi al mondo? Esatto, proprio lui, e chi scrive lo fa con la morte nel cuore di sulle sue pagine si è formato e laureato.

Eppure è meglio dirlo subito (e poi, semmai, aspettare il fulmine): ‘Numero uno’ (2015, Bompiani) non è un buon libro. Voleva strafare, si dirà? Affatto: quello sarebbe, semmai, il caso de Il cimitero di Praga, il romanzo precedente, tutto innestato su intrighi e falsi storici. Con ‘Numero zero’, stavolta, il professore voleva invece prendersela con il mondo dei media. Descriverlo dall’interno, svelarne i trucchi, le nefandezze, il meccanismo della macchina del fango.

Nobile l’intento, ben architettata la fabula: c’è un ricco imprenditore milanese, il commendator Vimercate, che a un certo punto vuole mettere su un giornale per far tremare i suoi nemici e dimostrare che, se vuole, è in grado di schiacciarli sotto al peso della pubblica indignazione. Allora fonda un giornale che si chiama Domani e allestisce una redazione fatta di potenziali inespressi, giovani giornaliste illuse e vecchi lupi di mare al termine di una torbida carriera.

Il giornale, lo si chiarisce subito, non uscirà in edicola. Non subito, e forse mai. L’intento è quello di realizzare una serie di numeri zero, dodici per l’esattezza, costruiti su finti dossier imbarazzanti, inchieste capaci di indignare, retroscena fumosi di facile presa, con l’obiettivo di dimostrare ai nemici che, nel momento in cui quel giornale sarebbe andato in edicola, sarebbero stati dolori per tutti.

Fin qui la fabula. L’intreccio? Manca. Perché all’atto pratico il professore pecca di noia, o forse di poca ispirazione. E quando è così, da tempo, Umberto Eco si rifugia nell’enciclopedia. Lui, sia chiaro, può tutto. Portatore di una cultura sovrumana, teorizzatore del web e delle connessioni in tempi non sospetti, esperto conoscitore di ‘laqualsiasi’ (commento scevro da qualsiasi malignità: credete, è pura ammirazione), a Eco basta un flusso di pensieri per intrecciare fatti, storie, fantasie, realtà, finzioni, psicologie, costrutti e renderli prosa.

Così ha fatto negli anni Ottanta con Il nome della rosa, riuscendo nell’intento di costruire un romanzo multistrato, capace di incollare i più crudi di libri con un intreccio così  avvincente che Il Codice Da Vinci di Dan Brown al confronto è una puntata di Peppa Pig, e contemporaneamente in grado di attirare gli appassionati di medioevo, i biblioteconomi, gli esoterici, i filosofi, i botanici e gli amanti del giallo, tutti alla ricerca di qualcosa che, puntualmente, trovano tra quelle pagine. Sia ciò una teoria, una lista, uno scontro di idee o banalmente l’assassino.

Gli è riuscito anche altre volte, al buon Eco. Ma non questa.  ‘Numero zero’ di tutto questo ha solo gli intenti. Appassionante a tratti, rischia di trasformarsi invece a più riprese in una fiera dell’ovvio, di luoghi comuni sul giornalismo, di fatti risaputi e smascheramenti della macchina del fango, capaci di appassionare al primo capitolo, non certo in tutti.

Parole dolorose: ‘banale’ ed ‘Eco’,  anche dopo la lettura di ‘Numero zero’, restano in antitesi. Ma forse lasciare teorie e intenti per tornare alla realtà, di tanto in tanto, non fa male. E la realtà è fatta di ingredienti straordinari che non si mescolano da soli, e componenti banali che nelle cucine giuste diventano alchimia. Si spera accada fino alla fine in Numero zero, e alla fine ci si arriva, perché dire un libro del genere non si legga sarebbe un’offesa a tanti libelli che non si leggono per davvero. E’ il risultato che non arriva: la maionese non si monta, il professore spinge di frusta, la compattezza sembra densa poi impazzisce quando l’ultima pagina arriva senza il guizzo che potrebbe salvare perlomeno i soldi della scommessa. Meglio fermarsi qui, in ogni caso, ‘ché ce ne fossero di Umberti Eco, anche quando sbagliano un libro. Anzi, forse stanno più simpatici: errare, in fondo, è umano.