Lo stile di Mauro Ermanno Giovanardi
Questione di toni. Ad esempio: quelli di Mauro Ermanno Giovanardi (in una vita precedente voce dei La Crus) sono bassi, scivolosi e argentini. Sanno di contrabasso, e come il contrabasso toccano il fondo bagnato della strada per risalire su scale di fiati, tromboni e ghirigori. Troppa roba per due sole corde vocali. Il resto, infatti, è una questione di stile.
E qui c’è il titolo dell’album: “Il mio stile” (2015, Produzioni Fuorivia), che calza a pennello per questo disco come un papillon su una camicia coi gemelli. Se si procede per immagini, dunque, anche la copertina vuol dire la sua. E’ la foto di un abbraccio color seppia. Lei è di spalle, nuda. Di fronte c’è l’artista, occhi chiusi, mento incuneato tra spalla e collo di lei e il volto grave, come fosse un ritrovarsi, o un abbandono. O magari la scusa di un adulterio da far passere per sciocchezza.
E’ questo il suo stile, evidente nei testi e nelle musiche. Una carrellata di disarmanti autobiografie, come in ‘Sono come mi vedi’, che apre il disco a squilli di trombe, nel tentativo palese di spiazzare l’interlocutore, che ci fa comodo pensare sia la donna della copertina: “Io che ho provato tutto” le dice “e ogni ruga in viso so bene perché c’è“. Sprazzi di stile d’altri tempi, pare chiaro.
Ogni brano è un capitolo di un libro guascone, fatto di adulazioni (“Se c’è un dio è al tuo cospetto”), in cui le corde vocali di cui sopra si tendono e si screpolano, calde di ammirazione (lineare: agli squilli di tromba si sostituiscono le chitarre in slide). E se a fine serata l’euforia scema e le sigarette sono state troppe, ecco che la voce torna buia e solitaria (“La mia anima tre volte ti chiamò, lei voleva te“). Come un artista francese d’altri tempi, e infatti l’unica cover tra gli inediti è quel “Il tuo stile”, canto in italiano dell’anarchico Leo Ferrè, che nel 1972 si permise l’eresia di incidere per tre volte di fila, in ogni strofa, “il tuo culo, il tuo culo, il tuo culo”.
Se fosse un film, siamo certi, sarebbe in bianco e nero. Di quelli in cui lei è vestita ma è più conturbante di un nudo integrale. e lui ha il cappello alla Bogart, fuma sigarette bianche, beve whisky e mostra la coda ventaglio come fosse un pavone qualsiasi o un duro alla Fred Buscaglione. In quel caso la colonna sonora sarebbe un brano potente come “Aspetta un attimo”: cavalcata ritmica in cui il fiato alle trombe è roba epica.
Un’ultima perla è ‘Quando suono’, che fa così: “quando suono sono vivo / se mi spari sopravvivo / senza te, anche senza te”. Per dire che all’artista vero ogni canzone sembrerà una vita a parte, in cui giocare con le pieghe dei desideri e dei mondi possibili. Ma basta così, il resto va ascoltato. Ad alto volume possibilmente, o correndo per strada, ma con buone cuffie. Un’ultima prece: questo disco è da acquistare, per tributare almeno uno (il più improbabile) di quei mondi possibili che Mauro Ermanno Giovanardi ci ha voluto raccontare: parla di un’epoca sospesa nel tempo, in cui la musica non si ascolta in tv e i discografici delle major, che sanno cosa vuol dire fare il proprio mestiere, puntano l’intero jackpot su un disco così, credendo a buon titolo che si tratti di una pietra miliare.