Migranti a Colonia: quando il “politicamente corretto” inebetisce
A proposito di quello che è avvenuto a Colonia nella notte di San Silvestro dove decine e decine di donne tedesche sono state circondate, derubate, palpeggiate in ogni parte, in qualche caso stuprate da orde di migranti divisi in gruppetti, ho letto commenti e opinioni, ho ascoltato dibattiti e interviste. E mi sono convinto ancora di più che il male supremo degli occidentali è quello del “politicamente corretto”.
E che nel nome del “politicamente corretto” in tanti, soprattutto in Europa, sono pronti ad immolarsi e a rinunciare ad avere un’ opinione netta e decisa a proposito delle varie nefandezze che ci capitano davanti agli occhi.
Per tornare a Colonia, a quello che è successo e al problema rappresentato in questa occasione dai migranti, mi è capito di ascoltare di tutto e di più: e sempre in maniera “politicamente corretta”: ho letto e sentito parlare di accoglienza, di integrazione, di tolleranza, che in definitiva non è successo niente di gravissimo, che nella notte di Capodanno può capitare a chiunque, anche non migrante, di essere euforici per qualche bicchiere in più e di allungare una mano, che in fondo non ci è scappato il morto, che non tutti i migranti sono così.
Fra tante belle parole espresse mi sarebbe piaciuto sentirne una che ben pochi hanno avuto il coraggio di usare: la parola è “diversità”. Diversità non in senso dispregiativo come qualcuno potrebbe fraintendere, ma diversità nel senso etimologico.
Perché deve essere chiaro a tutti, anche ai buonisti più convinti e ai politicamente più corretti d’Europa, che i migranti, quei milioni di poveracci che, tra rifugiati che scappano dalle guerre e gente in cerca di una vita diversa, sbarcano ogni anno sulle nostre coste europee, sono “diversi” da noi. Diversi da noi per cultura, per religione, per leggi, per lingua, per abitudini, per cosa si mangia, per cosa si beve, per come ci si deve comportare con gli altri.
Ma questa “diversità” i migranti, che provengano dalla Siria, dall’Iraq o dalla Libia o da qualche altro paese musulmano, la esplicitano soprattutto nel rapporto con le donne.
Nella quasi totalità del mondo arabo le donne sono considerate inferiori all’uomo: forse hanno qualche voce in capitolo in famiglia, ma nella società civile praticamente e salvo poche eccezioni, non svolgono nessun ruolo significativo. Sono ombre che ti scivolano accanto coperte, per imposizione maschile, dal burqa se capiti in Afghanistan, dal niqab (il velo che lascia scoperti solo gli occhi) se capiti anche in Turchia, dal velo che copre solo i capelli e lascia scoperto il volto per intero, in quasi tutto il mondo islamico.
Questa è la condizione della donna in tanta parte dei paesi arabi: un mondo femminile assoggettato totalmente a quello maschile. In pochi hanno ricordato questi particolari piuttosto significativi nei dibattiti che ho seguito. Quasi nessuno ha ricordato che in alcuni Paesi le donne colpevoli di adulterio vengono ancora lapidate, il che vuol dire ammazzate a sassate in mezzo a qualche pubblica piazza affollata da gente plaudente, pochi hanno ricordato che le donne in certi Paesi non possono studiare, non possono votare, non possono neppure guidare un’automobile. Pochi hanno ricordato le tragedie di quelle ragazze, cresciute in Europa, massacrate di botte e perfino uccise dai maschi di casa perché caparbiamente decise a comportarsi all’occidentale o a vestirsi come una ragazza di Roma o Parigi.
Ci si può quindi meravigliare per ciò che è successo a Colonia e in qualche altra città di quest’Europa felix? No di certo.
Ben pochi di questi commentatori che ho seguito in questi giorni hanno avuto la forza di raccontare tutto questo. Forse perché non politicamente corretto.
E invece forse ora è proprio arrivato il momento di decidere come l’Europa e i cittadini europei vogliano affrontare questa “diversità” e chiarirsi le idee su cosa si intenda per accoglienza e integrazione. Se accoglienza e integrazione possano voler dire educare chi arriva, con pazienza e gentilezza, al rispetto delle regole di chi accoglie o vogliano dire assoggettarsi agli usi e costumi di chi chiede asilo.
Se, nel mondo arabo, capita ad un turista occidentale di andare a visitare una moschea, la prima cosa che fa, prima di entrare, è quella di togliersi le scarpe, per rispetto alla religione del Paese che dà ospitalità. Così dovrebbe essere per i migranti: non possono pensare di venire in casa nostra a sputare per terra o a mettere le mani addosso alle donne mentre noi li guardiamo inebetiti dal cosiddetto “politicamente corretto”.