Viaggio nel Cnel: “Noi aboliti? Continuiamo a lavorare”
COME il pianista che suona sul Titanic mentre affonda, un addetto alle pulizie lucida il travertino di Villa Lubin. Il palazzo neobarocco custodito nel verde di Villa Borghese è la sede del Cnel da oltre mezzo secolo. Ancora per poco, perché il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è finito nella lista degli ‘enti inutili’, la riforma costituzionale ci metterà una croce sopra: abolito. «Ma siamo ancora legalmente in vita, continuiamo a svolgere tutte le funzioni», si schermisce il presidente Salvatore Bosco. Un passato da sindacalista nella Uil, 75 anni suonati, presiede il Cnel con orgogliosa perseveranza dall’agosto scorso quando Antonio Marzano si dimise. «A titolo gratuito», precisa. Arriva con l’auto privata verso le undici del mattino, una Mercedes classe B, come quasi ogni giorno. Posto bellissimo certo, immerso nel verde, ma «non mi pagano nemmeno il taxi, e arrivare qui non è semplice». Sorride. La cronista non ha preso appuntamento? L’improvvisata non lo scompone di una virgola. «Prego entri, facciamo due chiacchiere. Il caffè se glielo offro è a spese mie eh…». Dal primo gennaio 2015 presidente, vicepresidenti e consiglieri non hanno più indennità, azzerate anche le consulenze, in attesa che, con la riforma costituzionale approvata, scatti la tagliola finale. Intanto, la struttura costerà quest’anno sette milioni di euro (prima erano 20 milioni), essenzialmente per la manutenzione e gli stipendi di una sessantina di dipendenti, compresi i cinque dirigenti.
PER ARRIVARE nell’ufficio del presidente si attraversano lunghi corridoi deserti, il parlamentino, la sala gialla di rappresentanza, occhi puntati allo splendido soffitto grondante di stucchi e dipinti. «Guardi i tappeti rossi, siamo un organo di rilevanza costituzionale», sospira Bosco. Si intravede qualche dipendente che scivola via furtivo, il loro posto è assicurato, verranno trasferiti tutti alla Corte dei conti, mica male. Però l’aria che si respira è di avvilimento e preoccupazione. «È tutto personale altamente specializzato in materie economiche e del lavoro, con il trasferimento il trattamento salariale non è garantito», spiega il presidente, «qui è un po’ più alto, ma non parliamo di stipendi d’oro: 1.600 euro netti in media». Sì però ai dirigenti arriva un bel bonus… «È semplicemente il salario di produttività previsto dalla legge, una commissione esterna (l’Oiv) stabilirà se i risultati sono stati raggiunti», assicura Bosco. Poi si rivolge alla segretaria: «Mandiamo una lettera, serve particolare attenzione quest’anno». L’anno scorso fu staccato un assegno di 20mila euro lordi a cranio. Ormai si parla solo di questo, allarga le braccia: «Ma noi continuiamo a lavorare! Ad esempio, aggiorniamo la banca dati della contrattazione collettiva nazionale, oltre 35 mila contratti, con elaborazioni e analisi. E poi c’è la certificazione delle rappresentanze e i pareri europei». Aboliti, ma funzionanti, dunque. Non brilla per le proposte di legge, è la madre di tutte le accuse: il Cnel ne ha fatte 14 in tutto, nessuna approvata. «Sarebbe stato più efficace avere il potere di proporre emendamenti – contrattacca il presidente – le proposte si sa dove finiscono…».
INTANTO, si vive alla giornata. Un limbo che durerà almeno fino al referendum di ottobre sulla riforma costituzionale, poi arriverà un commissario, i dipendenti saranno trasferiti e le funzioni smistate, non si sa ancora come e a chi. «Certo è triste, un vero peccato, ma speriamo che il commissario stacchi la spina in fretta», si sfoga Bosco. Prende atto «della volontà politica», ma sentirsi inutili? Manco per sogno: «Io non lo avrei abolito, un luogo dove le forze produttive del Paese si incontrano esiste in tutta Europa. Spero rinasca in qualche forma». Lui, stoicamente, resiste. «Anche se mia moglie preferirebbe che mi riposassi, ho avuto tre operazioni importanti sa? E alla mia età…». Ma oggi c’è il Consiglio, sperando di raggiungere il numero legale, i consiglieri sono già scesi da 64 a 38. Il Titanic affonda, inesorabilmente. «Ma io non abbandono la barca».