L’Isola e la Capitale
Il sole. Il bacio. La melodia da tutti cantata. Il commissario tosto, ma, tutto sommato, sereno. La sensualissima Annamaria. Lo scrittore fuoriclasse. Mescolate questi ingredienti con allegra calma e, come per magia, salteranno fuori pagine intense e divertenti, atte, se siete stufi stanchi offesi da quel che vi circonda, a rendervi meno affannati. Insomma, come dicevano le nostre dolcissime nonne, se volete “ammazzare il tempo” il mio sincero consiglio è di leggere “La canzone del sangue”, sesta indagine del commissario Ponzetti di Giovanni Ricciardi. Avvertenza: stavolta il Nostro indaga tra la magica Sicilia (così la definisce, giustamente, un lettore spesso assai critico nei miei confronti e, credo, mio concittadino secoli fa) non senza mancare di tornare a casa, cioè a Roma. E se già il cocktail Isola-Capitale ubriaca di felicità, la lettura del romanzo rende la giornata più lieta.
La trama ruota attorno alla celebre Vitti na crozza, melodia (chi ricorda Rosanna Fratello e Domenico Modugno?) dall’andamento molto pop e dal contenuto molto triste. Meglio: macabro. “Vitti na crozza supra nu cannuni/fui curiusu e ci voisi spiari/idda m’arrispunìu cu gran duluri/murivi senza toccu di campani…” (Vidi un teschio sopra un cannone, mi sono incuriosito e ci ho voluto guardare. Quello mi ha risposto con gran dolore sono morto senza tocco di campane). E poi c’è Ponzetti, Ottavio Ponzetti, il commissario che, come tutti i commissari, è in vacanza. E si annoia ‘sì tanto che, pur facendo finta di essere seccato, affronta la sua ennesima indagine. Svolte, controsvolte, finale, come dicevano le già citate nonne, folgorante (ovviamente non sono così sadico da svelarvelo).
Ma, al di là del filo narrativo, mi preme consigliare la lettura di questo romanzo (edito dalla romana Fazi al prezzo di 14,50 euri) per altri motivi. Primo fra tutti, la scrittura. Piana, essenziale, da Codice civile come amava dire Henri Beyle alias Stendhal. Esempio: “La cameriera portò granita di limone in due bicchieri d’osteria, leggermente bruniti dall’uso. La sorseggiai lentamente, mentre la signora inanellava convenevoli sul tempo, sull’ora tarda ancora intrisa di sole, sulla bellezza sconfinata di Roma, sulla solitudine dell’estate e sull’inutilità della vita di chi non ha figli. Mi chiedevo quanto sarebbe durato quell’interludio che trasmetteva una indecifrabile inquietudine”. La lunga citazione è una sfida: trovi il lettore una parola fuori posto, messa lì a caso.
Altro elemento da sottolineare riguarda l’abilità dell’autore di indagare l’animo umano. Esempio: “Ma in definitiva, cos’è il fascino? Difficile dirlo. E’ una certa presenza della persona al di là dei suoi limiti. E’ anche una certa scioltezza, una disinvoltura nei gesti, nelle parole, quella facilità per cui ogni moto, ogni passo, ogni atto sembra riuscire senza sforzo”. Altra sfida: ditemi se c’è miglior modo di descrivere l’eleganza.
E non è finita. Che cosa c’è di più dolce di un bacio?: “Come Calipso. Un bacio rubato un solo istante che può stregare per otto lunghi anni”. Vero, verissimo.
Mi fermo. Il consiglio ve l’ho dato. Aggiungo che, fra i protagonisti del romanzo, ce n’è uno che si chiama Salvo. Un altro commissario. Terza sfida: indovinate chi…