La banalità del male
L’omicidio della giovane Ashley a Firenze, i fidanzatini killer di Ancona, la coppia dell’acido di Milano, la spietatezza di Gabriele Defilippi a Torino, il duplice delitto di Pordenone… E infine, a Roma, il caso più sconvolgente. Quel “volevamo uccidere qualcuno per vedere l’effetto che fa”, scandito da uno dei due giovani che nella notte tra venerdì e sabato hanno massacrato un conoscente di 23 anni. Così, senza un motivo apparente. E allora, cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Facciamo un passo indietro. La letteratura ha già raccontato tutto. C’è il Raskolnikov di Dostoevskij, il cui duplice omicidio in “Delitto e castigo” non può certo essere spiegato col solo bisogno di denaro; c’è il Meursault di Camus, che ne “Lo straniero” ammazza un giovane arabo perché quel giorno “c’era il sole”: c’è il Montgomery di John Banville, che ne “La spiegazione dei fatti” fa fuori una cameriera soltanto perché era nelle condizioni di farlo. La ragione ha un potere limitato sulle cose umane, trionfano i sentimenti e tra i sentimenti l’aggressività è il più radicato. Poi, certo, ci sono oggi fattori scatenanti (o coadiuvanti) che un tempo non c’erano. C’è l’abuso di cocaina, che logora i nervi, libera i freni inibitori e spesso incoraggia la violenza. Ci sono i social network, che esaltano il narcisismo e mettono in contatto tra loro le menti malate dando così alla follia individuale una parvenza di normalità. E ci sono i modelli sociali negativi, il relativismo dilagante, con la conseguente la rimozione del discrimine tra bene e male, le efferatezze splatter dei videogiochi e dei film pulp. Ma tutto questo non basta. Non basta a capire. Non basta a spiegare. Occorre prima di tutto smetterla di pensare che l’uso della forza e l’esercizio della violenza rappresentino sempre delle devianze, degli sconfinamenti della natura umana nel regno animale. Non è così. “La dialettica della lotta all’ultimo sangue è umana, non è animale”, scriveva il sociologo Raymond Aron. Perciò la guerra e sempre stata presente nell’orizzonte umano, ma da quando il dilagare della morale politicamente corretta e gli interessi delle élite globali l’hanno formalmente messa al bando si è imposta una retorica “disumana” in base alla quale la violenza è sempre un male e l’uso della forza è sempre censurabile. Non per questo gli uomini sono diventati più razionali, men che meno sono diventati più pacifici. Continuano a scannarsi con i pretesti più disparati, o, come nel caso dell’omicidio Varani a Roma, senza neanche riuscire a trovare una giustificazione formale alle proprie azioni. Cinquant’anni fa, l’etologo Konrad Lorenz pubblicò un fondamentale libro intitolato “L’aggressività” con cui chiariva quanto naturale ed istintivo fosse l’esercizio della violenza nella specie umana. “Credo che, in genere, l’odierno uomo civilizzato soffra di insufficiente sfogo ai suoi forti impulsi aggressivi”, scriveva Lorenz. Da allora, la possibilità di sfogare legittimamente gli impulsi aggressivi si è ulteriormente contratta. E’ invece aumentato il tasso di frustrazione degli individui. Si spiegano così, forse, i fatti di cronaca che tanto ci hanno turbato negli ultimi giorni. E quelli che da domani torneranno a turbarci.