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Il prosciutto San Daniele lascia anche lo zampetto

LO ZAMPETTO e la pressatura, la forma a chitarra, solo carne italiana, come il Parma. È il San Daniele. Sulle colline moreniche, nel microclima dei due venti, la mattina dal Nord e il pomeriggio dal mare, che incrociano il fiume Tagliamento, viene prodotto un grande e unico prosciutto italiano che celebra in questi giorni la sua festa con degustazioni, concerti, incontri ed eventi. Dop del consorzio che riconosce solo le sue 31 aziende e i 4.100 allevamenti autorizzati, i 65 macelli, tutti in dieci regioni del Centro Nord Italia, nasce da tre soli ingredienti, cosce selezionate di suini nati, allevati e macellati in Italia, sale marino e microclima. Nelle piccole aziende la lavorazione è artigianale. Teresa Coradazzi ci mostra, «ma questo è il regno di mio fratello Angelo», le fasi, dal raffreddamento alla rifilatura, la salatura dei cento giorni in celle diverse, la pressatura. Il riposo e il lavaggio a mano, l’asciugamento.

«QUANDO ERO piccola asciugavano i prosciutti in terrazza, come la biancheria». La fondamentale sugnatura, «con grasso e farina di riso, per intolleranti e celiaci». La stagionatura e la marchiatura chiudono un ciclo in cui la carne perde il 30 per cento del suo peso in 15 mesi. Il profumo è un’impronta del gusto, qui non ci sono nitrati e nitriti come nei mitologici e sopravvalutati spagnoli. Prosciugato dall’acqua ma equilibrato e dolce, «predigerito grazie alla protolisi e il lardo è come l’olio per l’inversione dei grassi: veniva usato come medicina contro il mal di stomaco».

LE COSCE vengono selezionate per la qualità del grasso bianco, che deve essere alto e compatto, per la carne soda e marezzata. «Il prosciutto magro non esiste, a parte il Fiocco. Si usa il sale marino per la sua purezza, quello di cava include altri minerali». La salagione è stata scoperta da Galli e Romani perché avevano notato che le bestie morte vicino alle miniere di salgemma non si decomponevano. «Quando i miei genitori hanno aperto l’azienda non c’erano celle perché si macellavano i maiali “vernighi”, solo d’autunno, secondo l’usanza contadina. Erano quelli che davano i prosciutti migliori». Teresa Coradazzi mostra la marchiatura a fuoco del Consorzio e il numero di identificazione del produttore. Una tracciabilità che arriva fino all’allevatore.