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Doccia gelata sul dialogo lefebvriani-cattolici

HA IL SAPORE di un rigore sbagliato la brusca frenata nelle trattative tra la Chiesa cattolica e i lefebvriani. Doveva essere dietro l’angolo il ritorno dei tradizionalisti nel seno ecclesiale e, invece, la Santa Sede prende tempo. Il tanto atteso parere positivo della Congregazione per la dottrina della fede, dato per certo da notevoli commentatori, slitta ancora. Anzi, non è più così scontato.

La plenaria dell’ex Sant’Uffizio si è riunita l’altro giorno per esaminare lo stato dei colloqui e, a sorpresa, è arrivata la fumata nera. <Il dialogo tra la Chiesa e la Fraternità di San Pio X – spiega il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federidco Lombardi – continua e non avrà tempi brevi. É prematuro prefigurare i modi della sua conclusione>. Ogni scenario è aperto. Eppure, solo un mese fa, lo stesso Lombardi aveva definito <incoraggiante> la seconda risposta del superiore generale dei lefebvriani, monsignor Bernard Fellay, al preambolo confezionato dalla Santa sede per ricucire lo strappo. Addirittura si era sbilanciato, parlando di un rapido rientro dello scisma che scuote la Chiesa dal 1988.  Dai qui l’ottimismo dei più.

Ulteriori discussioni e stralcio della posizione dei vescovi lefebvriani che dissentono da Fellay e dal suo tentativo di ‘tornare’ a Roma. Si può sintetizzare in questi due punti la riunione della Congregazione per la dottrina della fede. Ai trenta prelati, che hanno preso parte all’incontro, non è sfuggita la pubblicazione, su un sito tradizionalista francese, di uno scambio di lettere riservato tra Fellay e gli altri tre vescovi consacrati da Marcel Lefebvre. Senza peli sulla lingua  Alfonso de Galarreta, Nicolas Tissier de Mallerais e Richard Williamson hanno esortato il superiore generale dei lefebvriani <a non condurre la Fraternità a una profonda divisione senza ritorno>. In più hanno riproposto la solita serie di accuse al pensiero teologico e dottrinario di papa Benedetto XVI.

Troppo per l’ex Sant’Uffizio che, a questo punto, intende procedere sulla via della conciliazione con Fellay, lasciando al loro destino le frange oltranziste della destra cristiana: <In considerazione delle posizioni prese dagli altri tre vescovi della Fraternità San Pio X la loro situazione dovrà essere trattata separatamente e singolarmente>, sentenzia padre Lombardi. Dall’altronde, il ministro per il dialogo ecumenico della Santa Sede, il cardinale Kurt Koch, è stato esplicito. In una lezione  all’università San Tommaso d’Aquino ha voluto ricordare che tutti i documenti del Vaticano II <sono vincolanti> per un cattolico. Compresa la dichiarazione Nostra Aetate che ridefinisce i rapporti con l’ebraismo, ben poco rispettata dai tradizionalisti alla Williamson, il vescovo a cui, tre anni fa, venne revocata la scomunica nonostante le sue tesi negazioniste.

Ma la questione delle divisioni interne alla Fraternità da non sola non spiega la battuta d’arresto del percorso di riunificazione. Anche la Chiesa cattolica si interroga sul destino dei lefebvriani. Non solo i progressisti, dai liberal alle comunità di base, storcono il naso davanti alla riconciliazione. La prospettiva inquieta persino l’Opus Dei. Strana alleanza, ma, a quanto pare, l’accoglienza dei tradizionalisti scompagina le carte in tavola.

Gli eredi di  Josemaria Escrivà de Balaguer hanno sempre accolto i dettami del Vaticano II – certo in una prospettiva di continuità nella storia ecclesiale e non di rottura -, e mai hanno battuto i piedi. Tutto il contrario della Fraternità di San Pio X.  Proprio a questa si è rivolto indirettamente il cardinale Mauro Piacenza, vicino all’Opus Dei. A inizio mese, in un’intervista a Radio vaticana, ha detto: <Si dovrebbe dire basta ai tradimenti del Concilio Vaticano II e spalancare la porta all’obbedienza ai testi del Concilio, le cui parole sono da leggersi in ginocchio>. Prima di lui, a dicembre, monsignor Fernando Ocariz, vicario generale di quella che è l’unica prelatura personale in casa cattolica, aveva già messo in chiaro il pensiero dell’Opus Dei sul tema. E non è un caso che, nell’ultima riunione dell’ex Sant’Uffizio, ci fosse anche il potente cardinale Julian Herranz, per trent’anni braccio destro di Escrivà de Balaguer.

Se è auspicabile il rientro dei lefebvriani nella Chiesa cattolica – fermo il rispetto per la dottrina del Vaticano II -, è anche logico pensare che, pur  se con ritardo, lo scisma sarà archiviato. Almeno con i tradizionalisti moderati. Ratzinger vuole mettere a segno un punto significativo sul versante ecumenico prima della fine del suo pontificato. Ed è anche giusto investire, come sta facendo, così tante energie nel tentativo di sanare la frattura più recente tra i cristiani.

Si spera solo che il papa, lo stesso che non intende scomunicare l’Iniziativa dei parroci, apra nel Palazzo apostolico anche un tavolo di confronto proprio con i preti austriaci – la loro protesta sta attecchendo in tutta Europa – che invocano riforme strutturali nel popolo di Dio.  È una questone di equità. <Non c’è più giudeo, né cristiano, non c’è più schiavo, né libero, non c’è più uomo, né donna> (Lettera ai Galati, 3,28). E neanche lefebvriano, né riformatore.

Giovanni Panettiere

 

 

 De Giorgi.