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“Io sono” con gli altri

“Io sono” è il tema al centro del terzo ‘Festival delle religioni’ (in corso a Firenze su iniziativa di ‘Luogo d’incontro’ presieduta da Francesca Campana Comparini), posto accanto a un’altra linea portante dei tre giorni di riflessione e confronto: “La libertà nella regola”. La prima espressione è ambivalente, perché richiama il nome di Dio rivelato al popolo ebraico (e sviluppato da Giovanni nel suo Vangelo in una direzione esplicitamente cristologica) e al tempo stesso suggerisce l’affermazione dell’individualità che, complici i social, è diventata esigenza e patologia declassando la “libertà” a una forma egoista di vita svincolata dagli altri. “La libertà nella regola” dice invece dell’altra possibilità per l’uomo che riconosce la sua aspirazione a crescere e al tempo stesso il suo limite: non porsi al di fuori della storia credendo di potere tutto (tanto più se è ricco) e facendo inevitabilmente naufragio. L’essere che rimane umano non è senza gli altri: si esiste se si è nella vita degli altri. Le “regole” sono decisive per le vite dei monaci e creano le comunità, non solo di monaci peraltro ma di quanti si costruiscono accanto e insieme a loro. E’ la vicenda di Benedetto a fronte della disgregazione dell’impero romano d’Occidente. La domanda onesta e realista da porsi è dunque “io sono” ma con chi, per chi, per che cosa? “Io sono” se sono con gli altri: “Noi siamo un’unica comunità di 7 miliardi di esseri umani – ha detto il Dalai Lama nell’intervento che ha aperto il festival – e dobbiamo stare insieme e dobbiamo sviluppare l’amore universale, la pace universale, il perdono universale”. “Noi siamo” e “dobbiamo stare insieme”. La grande pressione è invece per disgregare o al massimo creare situazioni gregarie temporanee. Tenzin Gyatso ne ha riparlato anche nell’incontro con i giovani a Pisa, alludendo non a caso al tema dei contatti virtuali come declinazioni dell sviluppo tecnologico: “Viviamo nel secolo delle tecnologie avanzate che hanno migliorato la società ma dobbiamo chiederci se l’umanità è più felice oppure no”. Nel caso del Dalai Lama si ravvisa, tra l’altro, il profilo di un testimone: “Nella mia vita – ha ricordato a Firenze – sono stato testimone di tante cose, tanti conflitti, in questo momento in cui siamo qui, ci sono fratelli e sorelle, bambini che stanno morendo per ragioni che noi stessi abbiamo creato. E’ venuto il momento di fermare queste sofferenze. Il rimedio è di metterci in relazione gli uni con gli altri perché sono più le cose che ci accomunano, in particolare il fatto che siamo esseri umani, siamo tutti uguali. E’ per esempio una cosa terribile che le religioni siano fonti di conflitto”. Questo è un altro filone di riflessione decisivo e il Dalai Lama lo ha efficacemente riassunto in questi termini: “Spesso vediamo affiancare il termine terrorista al termine religioso. Si parla ad esempio di terrorista musulmano, terrorista buddista. Io sono molto contrario a denominare con il termine religioso chi è terrorista, perché al momento in cui uccidi non sei più un religioso, sei solo un terrorista”. Una declinazione particolare, non poteva essere altrimenti, è l’identificazione terrorista-Islam: “Conosco moltissimi musulmani in India ed il principale principio del musulmano è di amare tutto il creato di Allah, e nel momento in cui uccidi qualcun altro, smetti di essere musulmano”. Qui c’è un problema che va al di là delle religioni e che chiama in causa la semplificazione dei media, sulla quale ha insistito il presidente dell’Ucoii Ezzedin Elzir: “Il terrorismo e’ una bestemmia alla religione, alla fede religiosa, perciò tutti quanti siamo contro. Sua Santità il Dalai Lama ha sottolineato che non può associare il terrorismo ad una fede religiosa. Io invito tutti quanti, in particolare anche i giornalisti, a non associare il terrorismo ad alcuna religione, ma non solo questo: dobbiamo lavorare tutti quanti per cercare di essere sempre vigili perché il terrorismo, purtroppo, oggi, sta colpendo dovunque, e collaborare insieme per andare oltre le paure”. Religione come l’essere legati da un“vincolo di pietà” per cui siamo stretti e legati a Dio secondo la celebre definizione di Lattanzio (250-325). La scoperta o la riscoperta da approfondire è che “religio”, se è tale, inevitabilmente porta a legarsi agli altri. Chi si lega a Dio si lega a chi è fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Bisogna rilevare che l’incontro fiorentino con il Dalai Lama è stato accompagnato da due manifestazioni: l’una, di benvenuto, organizzata dai radicali in forma di flash-mob; l’altra di rappresentanti di associazioni cinesi che in piazzale Michelangelo hanno esposto i cartelli con scritto ‘Pace’ per poi dire che se da una parte tutti i popoli vogliono la pace, invece “il Dalai Lama in tanti anni ha parlato di indipendenza per raggiungere i suoi obiettivi politici”, ovvero “diventare sovrano del suo regno”. Un giudizio – diciamo così – un po’ discutibile ma questo è il potere della semplificazione che diventa una parola d’ordine. Fine la motivazione di Massimo Lensi per il flash mob di benvenuto: “Non un’iniziativa contro la manifestazione delle associazioni Italia-Cina a piazzale Michelangelo. Noi non vogliamo metterci in contrasto con nessuno: ognuno è libero di fare le manifestazioni che più ritiene opportune”. In una città libera c’è spazio per esprimere, per confrontarsi e anche per un dono: il sigillo della pace con cui il Sindaco Dario Nardella ha omaggiato Tenzin Gyatso.